L’opera di Bompiani prosegue, dando al lettore spunti utili direttamente dal racconto di quelle che furono le sue giornate lavorative tipiche.

VARI TIPI DI EDITORE

C’è l’editore ideologico, che sceglie i libri come tessere di un mosaico a ornare la volta della sua chiesa.

C’è l’editore letterario, il quale non sceglie libri, ma aggettivi: la sua fortuna può essere ritardata, ma è protetta da quella polizza d’assicurazione che si chiama la qualità.

C’è l’editore Barnum: gli occorrono i best-sellers e gli altri possono bruciare nel rogo.

C’è l’editore libraio: i suoi libri saranno sotto il segno di un servizio pubblico.

C’è l’editore erede: poche cose si possono trasmettere ai successori e tra queste non figura l’estro personale.

C’è l’editore enciclopedico: il mondo gli sta bene com’è, a condizione che si lasci incasellare in ordine alfabetico.

C’è l’editore popolare, che deve avere consonanze elementari con la saggezza dei proverbi.

C’è l’editore di pronto intervento: non è ancora spento nella cronaca l’incendio, che esce il libro documentario.

Infine c’è l’editore protagonista: quegli eccessi di valutazione dovuti all’entusiasmo, quella fiducia che precede il libro, quell’affidarsi all’intuizione invece che al marketing sono i suoi punti di forza e insieme di debolezza. Il pericolo che lo insidia ogni giorno sta nelle ambizioni di passaggio, che si cristallizzano prima dello scontro con la realtà.

 

Un editore protagonista trasporta nelle sue scelte editoriali tutto ciò che lo caratterizza: le sue curiosità, le sue speranze, le sue esigenze. Questo tipo di editore rischia però di non sopravvivere di fronte al mercato industrializzato.

L vero dibattitto è sempre lo stesso: privilegiare scelte utopistiche e rischiose o predisporre collane facili all’uso e piegate alle direttive del mercato?

Eppure “la validità economica di un editore non può prescindere dalla validità culturale. I best-sellers passano, i veri scrittori durano.”

 

I FALSI PROMESSI SPOSI

Un episodio particolare della vita da editore di Bompiani: dirigeva, nel 1928, la casa editrice Unitas, a Milano. Il suo lavoro lo appassionava, fortemente, così tanto da farlo scontrare con le idee dei proprietari: convocato dai due svizzeri, gli viene messo sotto gli occhi un rifacimento de “I Promessi Sposi” di Guido da Verona. Le ragioni addotte? Lo stile Manzoniano scende troppo nei dettagli, si perde nelle cose più inutili… “Nel Manzoni manca il poeta.” Bompiani non cede alle lusinghe di un testo “moderno”, suscettibile dei gusti più mondani: viene licenziato. “I Promessi Sposi” di Guido da Verona viene subito sequestrato e la casa editrice va incontro alla sua rovina.

 

Sto qui e seguo me stesso. Mi adopero come meglio posso e sto in mezzo alle contraddizioni, alle incertezze, agli errori. Se c’è qualcosa che mi muove, si vedrà alla fine cos’era. Ho fiducia che tanto carico di ambizioni e di vita non può essere volgare. E se lo fosse, volgare ha più significati. Forse sto cercando proprio il volgo, gli altri che non conosco, ciò che mi è alieno. Sto cercando parentele che non mi appartengono: in codesto Paese sconosciuto scelgo chi ne conosce la lingua, lo scrittore, parli lui anche per me, che sono un passante servizievole. Se mai il gesto è maldestro e la voce (il libro) sbagliata, basta che io sia il primo a pagare l’errore e mi assolveranno.

 

 

SOTTO L’ALA DI DON BOSCO

A Palazzo Durini Bompiani affitta alcuni locali e allestisce la sua casa editrice; in cerca di un buon titolo da pubblicare, si imbatte in svariati autori, nessuno lo convince pienamente. E poi arriva il libro, una biografia non agiografica, ma politica, di Don Bosco, commissionato a Ernesto Vercesi, suggerito proprio dai fatti di cronaca: proprio in quel periodo, infatti, si parlava di beatificarlo. “Don Bosco e la sua biografia scritta da un prete erano vita quotidiana.”

 

IL MIO TEATRO IO NON L’HO FATTO APPOSTA

Il racconto del rapporto con Pirandello attraverso due episodi: una cena organizzata dopo la rappresentazione di una sua commedia a Roma, con tutta la compagnia, in cui emerge un amore, contestato, per l’attrice Marta Abba; un incontro fortuito alla stazione di Milano, dopo che Pirandello ebbe accompagnato Abba in partenza per l’America. Il figlio Stefano non riesce a comporre, come gli era stato richiesto, una biografia del padre. Così scriverà a Bompiani: “Credi pure che quel che era da tirar fuori l’hai avuto tutto tu ed è servito a mettere in luce una faccia di Lui meravigliosamente bella: quella faccia che, nel cuore di chi gli visse vicino e lo conobbe per intero, gli fa perdonare tutte le altre, tante, e nessuna da mostrare senza rischi. Questo ti chiarisca anche perché io non scriverò un libro su mio padre: a meno che altri, come purtroppo può accadere, e da un momento all’altro, non sollevi questi veli. E allora forse non avrei da difendere la Sua memoria, ma la vita di qualcuno di noi.”

 

GLI AMERICANI

La scoperta della letteratura americana in Italia avviene tra gli anni ’30 e ’40 grazie a due titoli: “Uomini e topi” di John Steinbeck e “Piccolo campo” di Erskine Caldwell. Libri che parlano dell’uomo e della sua condizione sociale di miseria. Bompiani fece tradurre entrambi i libri, il primo da Vittorini, il secondo da Pavese. La collana “Americana” venne proibita dal ministro della Cultura Alessandro Pavolini, ma Vittorini stesso cercò di trattare, acconsentendo a qualche modifica, come ad esempio l’eliminazione dei alcune note dello stesso Vittorini.

 

Lo spettacolo della miseria dietro la facciata della retorica, il bisogno di vedere le cose del mondo, di sapere del mondo, questo è stato Americana per lui e per tutti.

L’UOMO HA GLI OCCHI SULLA FRONTE

Antonio Banfi, curatore della collana “Idee Nuove” che si propone di far conoscere all’Italia i filosofi contemporanei ignorati da Croce, chiede a Bompiani quali sono i progetti per il dopo guerra.

 

Bisogna fondersi con la realtà. […]Prima scendevo dai principi ai fatti. Adesso cerco i principi dentro i fatti. (Antonio Banfi)

 

 

È lo stesso Banfi a criticare “l’inaderenza degli intellettuali, la sua resipiscenza di studioso appartato”. Insomma, forse un editore non deve trascendere i fatti, ma radicarsi su di essi per costruire il proprio lavoro?

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