[tratto da Postille a "Il nome della rosa”, 1983, U. Eco]

Ma i lunghi brani didascalici andavano messi anche per un’altra ragione. Dopo aver letto il manoscritto, gli amici della casa editrice mi suggerirono di accorciare le prime cento pagine, che trovavano molto impegnative e faticose. Non ebbi dubbi, rifiutai, perché sostenevo, se qualcuno voleva entrare nell’abbazia e viverci sette giorni, doveva accettarne il ritmo.

Se non ci riusciva, non sarebbe mai riuscito a leggere tutto il libro. Quindi, funzione penitenziale, iniziatoria, delle prime cento pagine, e a chi non piace peggio per lui, rimane alle falde della collina.

Entrare in un romanzo è come fare un’escursione in montagna: occorre imparare un respiro, prendere un passo, altrimenti ci si ferma subito. È lo stesso di ciò che avviene in poesia. Pensate come sono insopportabili quei poeti recitati da attori che, per interpretare, non rispettano la misura del verso, fanno degli enjambements recitativi come se parlassero in prosa, stanno dietro al contenuto e non al ritmo. Per leggere una poesia in endecasillabi e terza rima occorre assumere il ritmo cantato che il poeta voleva. Meglio recitar Dante come se fossero le rime del Corriere dei Piccoli di un tempo, che non correndo a tutti i costi dietro al senso.

In narrativa il respiro non è affidato alle frasi, ma a macroproposizioni più ampie, a scansioni di eventi. Ci sono romanzi che respirano come gazzelle e altri che respirano come balene, o elefanti.

L’armonia non sta nella lunghezza del fiato, ma nella regolarità con cui lo si tira: anche perché se a un certo punto (ma non dovrebbe essere troppo sovente) il fiato di interrompe e un capitolo (o una sequenza) finiscono prima che il respiro sia tirato del tutto, questo può giocare un ruolo importante nell’economia del racconto, segnare un punto di rottura, un colpo di scena.

Almeno così si vede fare dai grandi: “La sventura rispose” – punto e a capo – non ha lo stesso ritmo di “Addio monti”, ma quando arriva è come se il bel cielo di Lombardia si coprisse di sangue.

Un grande romanzo è quello in cui l’autore sa sempre a che punto accelerare, frenare e come dosare questi colpi di pedale nel quadro di un ritmo di fondo che rimane costante.

 

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