Vittorio Alfieri è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano.

 

Leggere, come io l’intendo, vuol dire profondamente pensare.

 

Vittorio Alfieri nasce ad Asti nel 1749 da una famiglia di nobili origini; il padre però muore quando Vittorio ha solo un anno di vita, e la madre decide quindi di risposarsi con Carlo Giacinto Alfieri di Magliano; la sua infanzia è solitaria e agiata: vive infatti a Palazzo Alfieri e la sua unica compagnia è il precettore privato. Fin da piccolo dimostra di essere un bambino sensibile e malinconico, come racconta egli stesso nella sua autobiografia.

 

“Fra gli otto e nov’anni, trovandomi un giorno in queste disposizioni malinconiche, occasionate forse anche da salute, che era gracile anzi che no, visto uscire il maestro, e il servitore, uscii dal mio salotto che in un terreno dava nel cortile, dov’era intorno intorno molt’erba. Mi misi a strapparne colle mani quanta ne poteva, ed a metterne in bocca, masticarne, e ingoiarne quanta poteva, benché il sapore me ne riuscisse ostico assai, ed amaro. Aveva sentito dire non so da chi che la cicuta era un’erba che avvelenava, e faceva morire; non aveva fatto nessun pensiero di morire, e quasi non sapea quel che fosse; pure, seguendo un istinto naturale misto con non so quale idea di dolore, mi spinsi avidamente a mangiar di quell’erba, credendo che in quella vi dovea anch’esser cicuta.”

 

Qualche tempo dopo viene iscritto all’Accademia Reale di Torino, dove studia retorica, filosofia e legge. Sono anni privi di grandi avvenimenti, durante i quali Alfieri si sente intrappolato in una prigione dove non gli viene fornita alcuna educazione. Prima di terminare gli studi, abbandona l’Accademia e si arruola nell’esercito.

 

Volli, e sempre volli, e fortissimamente volli.

 

Congedatosi dal servizio militare, inizia a viaggiare per tutta Europa, visitando città come Londra, Parigi e Lisbona; è in quest’ultima che incontra l’abate Tommaso Valperga di Caluso, il quale sprona il giovane a seguire la carriera letteraria; tornato a Torino, Alfieri si dedica a scrittura e cultura; istituisce perfino la Societé des Sansguignon, composta da vecchi amici, coi quali si ritrova a discutere degli argomenti più disparati.

 

Con lui felice non son io mai, ma né senz’esso il sono.

 

Comincia a scrivere le sue prime opere, tra le quali figura la tragedia “Antonio e Cleopatra”, che ottiene successo. Nel 1776 intraprende il suo primo viaggio letterario, recandosi a Pisa e Firenze, dove compone “Antigone” e “Don Garzia”. Dalla scoperta delle opere di Machiavelli nascono opere quali “La congiura de’ Pazzi”, “Agamennone” ed “Oreste”.

Per far conoscere le sue opere, intraprende altri viaggi durante i quali conosce personaggi quali Ippolito Pindemonte, Pietro Verri e Parini, ma la critica fu abbastanza negativa. L’opera che viene annoverata fra i suoi capolavori è “Saul”, seguita da “Mirra”.

 

Raro e celeste dono, possiede chi è capace di sentire e di ragionare allo stesso tempo.

 

Tra il 1792 e il 1796 Alfieri si dedica allo studio dei classici greci e, dal contatto con le loro opere, nasce l’ultima sua tragedia, “Alceste seconda”. Il suo sdegno per il dominio francese in Toscana lo portarono a diventare punto di riferimento per molti patrioti italiani e così crebbe notevolmente il successo delle sue opere.

Nel biennio 1801 – 1802, Alfieri compone ben sei commedie e inizia a lavorare sul progetto “l’ordine di Omero”, una collana letteraria che include 23 poeti antichi e moderni, come Molière, Racine e Voltaire. Nel 1803 le sue condizioni di salute vengono debilitate dalla malattia e, poco dopo, Alfieri muore.

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