La ricostruzione biografica riguardante la figura di Severino Boezio è affidata in gran parte alle ipotesi poiché possediamo scarse informazioni circa la sua vita e le sue opere dalle fonti antiche, se non per quelli che sono considerati gli eventi più significativi della sua esistenza.

Discendente da una famiglia nobile romana, quella degli Anici, nasce probabilmente tra il 475 e il 485 (ipotesi avvalorata dal fatto che perse la vita non ancora anziano).

Rimasto orfano quand’egli era ancora un bambino, venne adottato dal futuro suocero Simmaco (intorno al 500 Boezio sposa infatti Rusticiana). La formazione che ebbe fu di ottimo livello, anche se non ne conosciamo con esattezza luoghi e tempi.

L’attività letteraria è precoce: scrittore fecondo, si dedicò a poesia e letteratura, scritti d’occasione, traduzioni dal greco, parafrasi di opere scientifiche e filosofiche, monografie su singoli temi filosofici e teologici. Si dedica anche alla composizione di poesie, come ricorda egli stesso all’inizio della Consolazione della Filosofia, ma nulla di questa produzione è giunto fino a noi. La cronologia di tutte queste opere non è certa, ma la loro composizione si intreccia sicuramente con la partecipazione di Boezio alla vita politica della corte di Teodorico e ai conflitti teologici e disciplinari del periodo.

Egli stesso commenta questo suo impegno letterario sottolineando che, nonostante gli impegni politici prendano talvolta il sopravvento, occorre dedicare molto tempo all’attività degli studi proprio perché anche questo rientra nei compiti di un uomo di stato: educare i cittadini al sapere.

La sua notorietà e la stima nei suoi confronti non può che crescere una volta fatti progredire i costumi della città attraverso l’applicazione delle conoscenze tramandateci dai Greci. La sua convinzione, infatti, era quella che, fra i compiti di un magistrato, rientrasse anche il compito di studiare direttamente la filosofia per far progredire culturalmente e moralmente anche i propri concittadini.

Nell’arco di poco più di un anno, Boezio raggiunge il vertice della sua fortuna e viene travolto dalla rovina totale. Attorno il 522-523 viene nominato magister officiorum, carica che gli permetteva di stare a stretto contatto col re e di beneficiare di larghi poteri; un tale prestigio non poteva non portare con sé anche inimicizie e invidie.

La sua condanna, come ci racconta egli stesso, deriva dalla sua difesa, a favore del senatore Albino, da un’accusa di cospirazione contro Teodorico, che finì per coinvolgere Boezio stesso. Incarcerato a Pavia, fu processato e riconosciuto colpevole. Muore intorno al 525-526, dopo un lungo periodo di prigionia che gli permise di scrivere la Consolazione della Filosofia, rappresentante, in parte, un’apologia per le accuse ricevute.

Pur essendo la sua produzione così vasta e variegata, il progetto culturale che lega tutte le sue opere è ben delineato: far conoscere ai Latini le ricchezze della cultura greca, in particolare dedicandosi alla traduzione di tutto ciò che dissero Aristotele e Platone, e dimostrando, attraverso l’inserzione di commenti alle opere, la non contrapposizione fra i due filosofi.

Il ruolo da lui svolto nella storia della cultura occidentale è determinato dalla situazione politica e culturale del suo tempo: egli visse infatti ai limiti di due mondi. Nei periodi di transizione come fu questo, ad avere una posizione di primo piano sono gli autori che riescono a trasmettere gli elementi migliori della cultura che termina a quella che sta nascendo. Questo riuscì a fare Boezio.

FRASI

  • In ogni avversità della sorte la condizione che genera più infelicità è l’essere stati felici.
  • La musica è parte di noi, e nobilita o degrada il nostro comportamento.
  • Di tutte le sventure, il peggior fato è quello di essere stati felici.
  • Perché non c’è un qualche modo semplice ed economico per dimostrare quanto lei sia importante per me?
  • Se tu avessi tenuto la bocca chiusa, avrebbero continuato a considerarti un filosofo.
  • Nulla è più fugace della forma esteriore, che appassisce e muta come i fiori di campo all’apparire dell’autunno.

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