LA TRIBÚ LATERZA

Fondata da Vito Laterza, ma gestita dal fratello Giovanni, acquisisce col tempo, attraverso il lavoro di fratelli e nipoti, il successo, diventando un simbolo dell’editoria. La collaborazione fondamentale è quella con Benedetto Croce: “bisogna stampare i libri di cultura storica e filosofica, interessarsi alle letterature straniere e ai grandi classici italiani, bei mattoni coi quali si costruiscono le solide case di campagna.”

 

ULRICO HOEPLI “MILANESE”

Svizzero di nascita e milanese d’adozione, arriva a Firenze appena ventitreenne e acquista una piccola libreria, mosso da intenti nobilissimi: “Quanto feci mi fu ispirato dall’amore ardentissimo per l’Italia, dalla fede inconcussa che ho nel suo avvenire, dal rispetto per la dignità e la serietà degli studi che fanno di grado in grado migliori l’uomo e la società.”

Le linee guida della sua attività sono basate sulla conoscenza e diffusione delle scienze positive attraverso letture immediate, brevi, divulgative.

 

Ulrico Hoepli prima di essere un editore, cioè un individuo, era un cittadino consapevole e i suoi successi diventano, per prima cosa, un contributo alla società. […] Resta tuttavia la domanda: un editore può avere sempre ragione? Qual è il limite della disponibilità editoriale all’estro, all’irrazionale, alle invenzioni senza documenti che le precedano, all’antistorico, da cui nasce sovente la storia di domani? Non sto parlando di Hoepli, ma di qualcosa che è sotto gli occhi: e cioè la tendenza tecnologica al colpo sicuro, alle scelte che privilegiano le vendite, l’ossequio al marketing che garantisce il successo. Dicono gli inglesi: “scegli un amico dieci anni prima del giorno in cui potrà servirti.” Questo monito va bene anche per i libri: i successi tardivi formano il vero catalogo, duraturo nel tempo.

 

La casa editrice venne distrutta dalle bombe della seconda guerra mondiale, i suoi successori riuscirono a salvare un’ottantina di libri e ripartirono da capo.

 

SONZOGNO O IL GUSTO DEL SUCCESSO

 

Parole, parole cancellate come se la guerra fosse non la causa della distruzione, ma lo scopo di una negata sopravvivenza.

 

Sono gli anni della seconda guerra mondiale. Le bombe colpiscono la vita di tutti i giorni, le tipografie e i tesori letterari vengono distrutti senza pietà. La Sonzogno vive anni di gloria, passando di generazione in generazione, fino ad arrivare a Edoardo Sonzogno, “Edoardo, che resterà scapolo tutta la vita, sposa il successo.” Seguendo la moda, in particolare quella francese, pubblica almanacchi ricchi di vignette, satira e curiosità.

 

L’accortezza e il gusto del successo gli appartengono, ma sotto, ma dietro, c’è un’altra cosa e non si è editori se dietro i libri non c’è un’altra cosa, che si vuol servire.

 

In un secolo colpevole di diffondere libri di scarso valore, Sonzogno dà alla luce collane di grande valore: la “Biblioteca Classica” per opere antiche e moderne; la “Biblioteca del Popolo” per manuali divulgativi, compresi quelli di occultismo; la “Biblioteca Universale” per i capolavori della letteratura mondiale; la “Biblioteca Romantica” per i testi d’avventura e veristi. Ormai anziano, lascia la casa editrice ad un nipote.

 

IL CICLONE SOMMARUGA

Sommaruga si propone di far di Roma capitale della letteratura, fonda la rivista “La Cronaca Bizantina” acquisendo un enorme successo (12.000 copie). Anticlericale, mettendo in discussione tutto, polemico… il giornale, arrivato ad una tiratura di 150.000 copie, infastidiva molte persone, così che Sommaruga fu processato. L’esilio, tra Francia e Argentina, fu lungo; poté ritornare in patria ormai vecchio. Diceva di non leggere i libri pubblicati, “a lui bastava l’odore di uno scandalo o di una polemica”. Autore di punta fu D’Annunzio, suo amico il Carducci.

 

Il periodo sommarughiano fu il prodotto necessario all’incontro o, se meglio vi piace, allo scontro di due elementi radicalmente opposti e apparentemente inconciliabili: la cultura e il bluff, un quarto di secolo prima ch’essa divenisse in tutta Europa la legge comune del commercio e la ragione prima del successo. […] Per Angelo Sommaruga l’editore non era l’impresario di una scuola letteraria, ma il produttore di una merce. L’errore sarebbe da imputarsi all’applicazione dei metodi della grande industria a un prodotto misero. (Edoardo Scarfoglio)

 

A.F. FORMIGGINI, EDITORE IN CAMPIDOGLIO

Nato da una ricca famiglia ebraica nel 1878, la sua attività editoriale si esplica tutta nel novecento.

 

Formìggini aveva tutte le qualità per essere un editore di spicco: l’intelligenza, la cultura, l’apertura mentale, la simpatia, ma non ne aveva i difetti: l’aggressività, l’arroganza, la vanità protagonistica e il colonialismo. I libri pubblicati sono le tessere del mosaico che raffigura l’operosità dell’editore, ma i libri non stampati o rifiutati sono spesso i segni definitivi di quel ritratto. Questo vuol dire che sotto i libri c’è qualcosa che è più importante: lo spirito che li accompagna.

 

La sua ragione di vita fu il motto “far ridere gli italiani”: il suo impegno più grande furono appunto i “Classici del ridere”. L’invito era quello di “ridere di tutto e soltanto riderne”. Oppostosi al fascismo, reputava Mussolini un ignorante, dichiarazione che non passò inosservata al Duce.

“Né ferro né fuoco possono salvare la libertà, ma la parola soltanto. Questa il tiranno spegne per prima, ma il silenzio dei morti rimbomba nel cuore dei vivi.”

Si suicidò gettandosi nel vuoto.

 

I NUMERI DI ANGELO RIZZOLI

Nato povero, considerò questa la sua fortuna più grande. Creò un impero, diede nuova vita a collezioni di classici, narrativa, saggistica. Voleva una sua rivista, provò ad acquistare il “Corriere della Sera”, senza successo; fondò allora il suo, “Oggi”, per il quale scegli il direttore Edilio Rusconi.

 

Un giorno disse a Rusca, al bravissimo Luigi Rusca che, lasciata la Mondadori, era diventato il consulente della Rizzoli, che voleva “stampare una collezione”. Di che? “Di libri.” Rusca ne parlò a un collaboratore di molte letture, Paolo Lecaldano, e proposero una collana universale di classici. Se gli avessero parlato di letteratura, il volenteroso Rizzoli avrebbe sgranato gli occhi come a una seduta spiritica. “Classici” invece è una parola accogliente come un portico, come un ricovero dove non piove, richiama l’infanzia, la scuola e le cose antiche, che durano a lungo.

 

 

IL GRANDE ARNOLDO

Fece del viaggiare la sua vita: spostandosi da un luogo all’altro, poté conoscere moltissime cose, accumulando idee per le sue collane. Il suo lavoro portò ad una svolta nell’editoria italiana: ormai si passa dall’artigianato alla grande industria. “L’editore artigiano tende al singolare, l’editore industriale guarda al plurale”. Ecco che nasce l’“Opera Omnia” del D’Annunzio.

 

Quando si dice un genio, si pensa normalmente agli artisti, agli scienziati o agli inventori, qualche volta ai grandi politici, ma c’è un’altra genialità applicata alla vita. Un genio nella vita è colui che impasta l’intelligenza con la natura, le idee coi sentimenti, la giornata col tempo in un equilibrio autonomo che a ogni momento è sul punto di rompersi, se il genio non lo legasse a se stesso. Questo per me è stato il grande Arnoldo.

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