FIRENZE ‘45

La guerra è conclusa, le città menomate. Firenze, dice Bompiani, è stata accecata.

Si ritorna tutti lì, l’editore e i suoi scrittori: Montale, Gadda, Luzi, Pratolini, Santi, Delfini, Landolfi, De Robertis… I visi sofferenti. Le parole, poche.

Ognuno col suo incarico: Montale tradurrà l’“Amleto”, Gadda consegnerà per fine anno “L’incendio di via Keplero”, De Robertis “La morale cattolica”, Luzi il mensile “Concerto”, Bigongiari propone “Tutte le opere” di Conrad, Pratolini la ristampa di “Via dei magazzini”…

 

Cerco dei punti fermi, sereni. Cerco di stabilire un rapporto tra quella serenità, quella durata e gli scrittori usciti dalla tempesta con le idee lucide come foglie al sole.

 

L’OPERAZIONE SEGNATA SUL NOTES

Le collaborazioni continuano: Bontempelli propone di ristampare “Vita e morte di Adria”, Alfonso Gatto una raccolta di poesie, un volume di prose e uno di critica, Stefano Landi tre racconti, Leo Longanesi consegnerà “Il mondo cambia”, Alvaro sta lavorando sul romanzo “L’età breve”, Zavattini propone il giornale “Il disonesto”,

L’idea di Bompiani di confezionare una collana di storie su come gli scrittori sono vissuti rimane in sospeso, nessuno consegna la propria.

 

La parola come un fatto, la parola come un rischio, la parola come responsabilità.

 

 

PARIGI 1946

Gli incontri sono numerosi e proficui: Sartre, seduto ad un tavolino di un bar con Simone de Beauvoir pochi passi più in là, anche lei intenta a scrivere su alcuni fogli; una colazione con Salacrou, una colazione con Gaston Gallimard, un editore francese molto apprezzato (“Mi pare di vederlo muoversi tra i suoi scrittori come in un balletto rituale, tanta è la grazia e la musicale puntualità dei suoi passi e dei suoi gesti”). Un altro incontro con Jean Paulhan, direttore editoriale di Gallimard, a casa dello scrittore André Malraux. Albert Camus: “Le parole che dice, a bassa voce, poco più che mormorate, sembrano dirette alla pagina lasciata sullo scrittoio alle sue spalle. Le ho ritrovate nei suoi libri, quasi a conferma della identità tra letteratura e vita.”

 

POSTILLE A “IL NOME DELLA ROSA”

Arriva un nuovo impiegato negli uffici della Bompiani, Umberto Eco. Egli pubblicherà un romanzo che “conquista il mondo, tradotto in tutte le lingue”. Un romanzo popolare scritto per piacere, una tecnica di cui Eco conosceva bene le caratteristiche dopo aver studiato e analizzato opere su opere, facendo una sorta di “analisi di mercato”.

 

Scrivere è costruire, attraverso il testo, il proprio lettore. Cosa vuol dire pensare a un lettore capace di superare lo scoglio delle prime cento pagine? Significa esattamente scrivere cento pagine allo scopo di costruire un lettore adatto per quelle che seguiranno. Manzoni non scriveva per piacere a un pubblico così com’era, ma per creare un pubblico a cui il romanzo non potesse non piacere.

 

L’ARCA DI NOÈ DELLA CULTURA

Luglio 1938. La guerra è nell’aria. Un editore svedese, al Congresso Internazionale degli Editori a Lipsia e a Berlino, prende la parola: “Signore Iddio, devo fare un discorso in tedesco. Non ho un vocabolario né una grammatica e sono un poveruomo sperduto tra i generi dei nomi. Non so più se l’amicizia è femminile e l’odio maschile, o se l’onore, la lealtà, la dignità sono soltanto neutri. Allora, Signore Iddio, riprenditi le parole e lasciaci la nostra umanità. Forse riusciremo a salvarci.”

L’idea di creare un’opera enciclopedica su testi e autori era nata qualche tempo prima di questo discorso, ma Bompiani riprende nuovamente in mano il progetto e ne fa un’opera monumentale: “Dizionario delle Opere, dei Personaggi e degli Autori di tutti i tempi e di tutte le letterature”, per mettere in salvo tutto ciò che l’uomo ha scritto nei millenni. Quasi mille collaboratori, autori divisi in quattro sezioni.  Un contenitore in cui le opere fossero ordinate e, per ciascuna, esposto il contenuto, il valore, il contesto storico, la bibliografia. Dieci anni per pubblicare il primo volume. Altri quindici per arrivare al diciottesimo.

Questa fu l’Arca di Noè. “Non so se il patriarca dopo aver finito di imbarcare gli animali fosse altrettanto felice e stanco. Avevamo dato fondo a qualsiasi risorsa, a qualsiasi possibilità finanziaria. Se l’opera non avesse avuto fortuna, la casa editrice, e non soltanto la casa, sarebbe saltata.”

L’UNESCO considererà l’opera “di interesse e di importanza mondiale”, viene tradotta e pubblicata in molti altri Paesi, una pubblicazione collettiva e anonima, a cui lavorarono degli “eroi”. Sotto le bombe, questo gruppo di uomini continuò a lavorarci, tenendosi stretti al petto quei fogli dell’Enciclopedia.

 

A DOMANDA RISPONDO (intervista a cura di Marco Guzzi, 1988)

1 – In un suo libro lei ha delineato una sorta di tipologia dell’editore. Che tipo di editore è stato ed è lei? Quale il suo rapporto coi libri da pubblicare?

 

Volendo risalire alle origini, il rapporto è semplice: potrebbe essere il piacere di far leggere agli amici e ad altri i libri che ci sono piaciuti. Per un certo tipo di editoria è fondamentale che l’editore si consideri un uomo come tanti altri.

 

2 – Quando intervengono ragioni di natura economica è ancora possibile questa simpatia totale nelle scelte editoriali?

 

È una garanzia in più in un mestiere ambiguo con un occhio ai valori culturali e un altro al libro dei conti.

 

3 – Di che pasta è fatto un editore?

 

È fatto di idee, invenzioni, ideologie e altro, ma il gusto di inventare un titolo, una copertina o una fascetta è come un formicolio alle mani, che porta il lavoro a un rapporto da artigiano.

 

4 – Agli scrittori bisogna dire sempre la verità?

 

Quando un autore chiede un giudizio sul suo libro, si aspetta non le tue parole, ma le sue, che si è detto mille volte la notte, al buio.

 

 

[…] Che un editore, se vuol dare il meglio di sé, debba avere come punto di riferimento non il successo, ma la coscienza, questo è ovvio per tutte le arti e le professioni. La coscienza è quel sapere che si fa qualche cosa perché non si può non farlo.

 

 

IL COLLO LUNGO

Ai collaboratori, assumendoli, dicevo: “mettiti lì”. Quelle due parole casalinghe e fiduciose volevano dire di entrare nelle cose senza una autorità che le preceda. In altre parole una piena disponibilità. “Mettiti lì” al servizio delle parole altrui, che sono il pane quotidiano della convivenza. Eravamo tutti lì con il collo lungo, mescolando il lavoro con la vita. […] L’ambizione dell’editore, tutta la sua ambizione è che qualcuno possa dirgli: “grazie di esistere”.

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