Ed eccoci arrivati, caro lettore, all’ultima tappa del nostro viaggio, e siccome abbiamo viaggiato assieme per tante e tante pagine, riteniamo che ci sia consentito di comportarci come passeggeri che abbiano percorso molta strada sulla stessa diligenza. […] Nonostante i piccoli battibecchi che possono esserci stati, alla fine fanno pace e si dispongono a far l’ultimo tratto in piena e lieta armonia.

Così scrive Fielding nelle pagine conclusive del Tom Jones.
Con queste parole si riferisce al rapporto, non sempre semplice, che si instaura tra scrittore e lettore: il viaggio, il percorso che viene intrapreso dalla prima pagina, è lungo e tortuoso, talvolta fatto di scontri e animosità, ma al termine il finale è certamente in un clima di allegria e buon umore: la gratificazione è reciproca e deriva dal compiacimento per aver superato insieme ostacoli e per il raggiungimento della meta.

La metafora del viaggio illustra bene il rapporto dialogico che necessariamente si crea tra chi ha scritto e chi legge. Questa relazione bidirezionale viene esplicitata, più o meno, in quello che viene definito “patto narrativo”.
Solitamente, con questo concetto, intendiamo tutta una serie di istruzioni che l’autore impartisce, così da indirizzare la lettura della propria opera.

Il narratore, così facendo, chiarisce i suoi intenti, orienta l’attenzione del lettore, dà delle vere e proprie istruzioni per l’uso.
Spesso troviamo addirittura degli appelli a chi legge, la letteratura è ricca di esempi di questo tipo. Mi viene in mente l’incipit di Der Sandmann: qui il nostro Hoffmann propone tre diversi modi possibili di iniziare il suo racconto, e il lettore viene chiamato a scegliere quello che più preferisce.

Abbiamo un’intro a mo’ di favola: “c’era una volta…” e così via. In questo caso il lettore sa che si trova di fronte ad una narrazione di tipo fantastico, probabilmente ricco di elementi meravigliosi e non comuni.
La seconda possibile scelta è un’introduzione meno impersonale, che suona più o meno così: “Nella piccola città di S. viveva…”, dove veniamo introdotti in misura maggiore in quella che sarà la sua storia.
E infine, di grande impatto, è “ – Vada all’inferno! – Esclamò…”, in medias res, che ci palesa ad un tratto una forte reazione da parte di uno dei personaggi.

A questo punto scendiamo nello specifico e chiediamoci quali siano le funzioni di questo patto narrativo.
Innanzitutto con esso l’autore pianta dei paletti che chiariscano la fisionomia di chi racconta e di chi legge. Ad esempio, Moby Dick si apre con la famosissima citazione “chiamatemi Ismaele”: con questa l’autore non fa altro che esplicitare il ruolo di colui che si accinge a raccontare.

Esistono ovviamente diversi livelli di riconoscibilità del narratore: dal grado zero (dietro il quale egli si eclissa totalmente, come per esempio nella poetica sposata dai veristi italiani, i quali volontariamente decidono di non comparire, lasciando totalmente la parola ai loro personaggi) al grado massimo in cui sappiamo esattamente chi sta tessendo la tela della narrazione (si pensino tutti quei romanzi epistolari, come “Le relazioni pericolose” o “Fosca” dove coloro che ci stanno presentando le vicende si firmano nelle numerose epistole che compongono l’opera).

Un’altra funzione fondamentale del patto narrativo è l’enunciazione del cosiddetto “radicale di presentazione”: secondo Frye, esso rappresenta un dispositivo che regola l’ordine dei generi. Faccio un esempio per chiarire il punto: il romanzo rientra nella fiction, la quale è per eccellenza il genere della pagina stampata, dove domina la prosa, ben diverso dal genere epico, che viene recitato. Col radicale di presentazione viene dunque postulato un io-leggente diverso da un io-ascoltatore. E l’autore lo esplicita subito, sin dalla prima riga.

Il patto narrativo è anche utile per un altro scopo: oggigiorno, nella società dei commerci e della libera contrattazione a seguito della Leserevolution, il pubblico è libero di fare una scelta ogni volta che deve acquistare un libro. Ecco, a questo punto è compito dello scrittore offrire il suo marchio di qualità capace di attrarre le vendite verso il suo lavoro. Col patto esprime dunque la sua capacità di poter offrire qualcosa di bello, di migliore rispetto al resto dell’offerta. E promette anche di mantenere alta quella suggestione per tutto il viaggio che si intraprende, dalla prima all’ultima pagina.

Infine, attraverso il patto narrativo, viene indicata la soglia del mondo possibile: il lettore capisce che si sta immergendo nel mondo della fiction, dove ogni incredulità deve venire sospesa, dove deve abbracciare la finzione. Deve avere la garanzia che sia un viaggio di andata e ritorno, che può tornare alla realtà quando più lo desidera. Ma accetta consapevolmente di entrarci.

Insomma, il patto narrativo è quel dispositivo che permette a scrittore e lettore di comunicare fra loro, per far ottenere a quest’ultimo le informazioni necessarie per godersi nel modo migliore la lettura del suo libro.

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