“C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.

Christopher, o Alexander Supertramp, come decise di farsi conoscere durante le sue lunghe peregrinazioni che lo portarono da un luogo all’altro, non è uno scrittore così come quelli di cui finora ho voluto tracciare il profilo.

Ma credo che abbia qualcosa di ancora più speciale.

Egli non è autore, bensì uomo che scrive pensieri e riflessioni, appuntandosi le cose importanti sul margine a lato dei libri che legge. E ne legge parecchi questo ragazzo!

Parlo al presente perché ormai Christopher non c’è più da parecchio, eppure ogni volta che ripercorro il suo stesso cammino, sfogliando le pagine della biografia a lui dedicata o guardando quel meraviglioso film che hanno realizzato per celebrarlo, sono certa che lui mi parli e mi incita a “qualcosa di buono”.

Christopher nasce nel 1968 in California. La famiglia è apparentemente felice: il padre lavora per la Nasa, la madre è un’impiegata, i soldi non mancano, è uno studente modello tanto da laurearsi con un’ottima media all’università Emory, in Storia e Antropologia.

L’animo però è irrequieto: Chris non si accontenta, ma addirittura disprezza quella vita fatta di inutili ipocrisie che mascherano la natura meschina dell’uomo.

L’unica cosa che per lui conta sono i suoi libri, i suoi amati amici, che mai lo abbandonano.

Dice la sorella che “sapeva sempre trovare una citazione dai suoi libri adatta a qualsiasi situazione in cui egli si trovasse”.

L’altra consolazione in cui si immerge è la sua vecchia auto Datsun gialla, fedele compagna nei lunghi viaggi solitari che amava compiere durante i periodi di pausa dalla scuola. Spariva per qualche tempo dalla circolazione, vagando da un posto all’altro, in cerca di risposte che nessuno era in grado di dargli.

E anche quell’estate, quella del 1990, terminati gli studi, si allontana da ogni contatto: all’inizio sembrava uno dei tanti viaggi a cui erano abituati, ma questa volta c’è qualcosa di diverso nell’animo di Chris.

Prima di lasciare ogni cosa, tra l’altro, dona in beneficienza i 24.000 dollari residui del suo fondo personale.

A questo punto inizia il suo viaggio, più morale e spirituale che di semplice spostamento.

Dopo una disavventura con la sua automobile, diventata inutilizzabile a causa del motore bagnato, decise di proseguire a piedi e, facendo l’autostop, girò in lungo e in largo per gli Stati Uniti. Conobbe numerose persone, alcune delle quali si affezionarono molto a Chris, o meglio ad Alex, visto che da tutti era conosciuto con questo nome.

La svolta è il suo arrivo in Alaska: riesce a sopravvivere in queste terre selvagge per un certo periodo, procurandosi selvaggina, nutrendosi di bacche e semi, razionando del riso accuratamente. La sua abitazione diventa un piccolo bus abbandonato, a cui Alex darà il nome di Magic Bus.

La natura lo avvolse totalmente, ma non sempre gli uomini sono in grado di immergersi in lei senza pagarne un prezzo.

E quello che pagò lui fu altissimo: nell’Agosto del 1992 due cacciatori lo trovarono senza vita, morto da ormai due settimane. Un piccolo corpo di soli 30 kg.

Le cause della morte sono solo ipotizzabili: alcuni suppongono che la fame lo abbia indebolito e infine ucciso; altri pensano ad un avvelenamento dovuto ad una tossina presente in alcuni semi da lui mangiati, all’epoca ritenuti commestibili, ma che in realtà paralizzano fino ad uccidere un essere vivente; altri ancora, osservando uno degli ultimi scatti che lo ritrae, hanno ipotizzato una ferita importante al braccio (la manica della giacca sembra vuota), che gli ha impedito di nuotare e fuggire attraversando il fiume.

Pochi oggetti vengono rinvenuti: una macchina fotografica, pochi oggetti di sopravvivenza e alcuni vestiti, moltissimi fogli in cui si appuntava, con una scrittura minuta, le sue riflessioni sulla vita e sull’uomo in generale.

“Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?” [Leggendo Lev Tolstoj]

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