La dottrina della violenza riguarda solo l’offesa arrecata da una persona ai danni di un’altra. Soffrire l’offesa nella propria persona, al contrario, fa parte dell’essenza della non-violenza e costituisce l’alternativa alla violenza contro il prossimo. Non è perché io stimi poco la vita che approvo con gioia che migliaia di persone perdano volontariamente, ma perché so che a lungo andare ne risulterà minore perdita di vita e, cosa ancor più importante, perché penso che quest’atto nobiliti coloro che perdono le loro vite e che il mondo risulti arricchito moralmente dal loro sacrificio.

[…]

Io approvo la completa non-violenza e la considero possibile nei rapporti tra uomo e uomo e tra nazione e nazione; ma questa non è mai una rinuncia ad ogni lotta concreta contro l’ingiustizia. Al contrario, nella mia concezione la non-violenza è una lotta contro l’ingiustizia più attiva e più concreta della ritorsione, il cui effetto è solo quello di aumentare l’ingiustizia.

Io sostengo una opposizione mentale, e dunque morale, all’ingiustizia. Cerco con tutte le mie forze di ottundere l’affilatura alla spada del tiranno, ma non contrapponendo ad essa un’arma più affilata, bensì deludendo la sua aspettativa di una resistenza fisica da parte mia. La resistenza morale che io opporrò servirà a disorientarlo.

Dapprima lo frastornerà, e alla fine lo costringerà al riconoscimento dell’ingiustizia, riconoscimento che non lo umilierà, anzi lo nobiliterà. Si potrà sostenere che di nuovo ci si pone nel regno dell’ideale. E in realtà è così. I principi da cui ho ricavato le mie convinzioni sono veri quanto lo sono le definizioni di Euclide, che non perdono di verità perché nella pratica non si è neppure in grado di tracciare una linea euclidea su di una lavagna.

 

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