Gabriele D’Annunzio nasce a Pescare nel 1863; la famiglia, benestante, gli garantisce un’infanzia serena e l’istruzione necessaria a sviluppare le sue doti intellettive. L’ambizione che caratterizza il suo temperamento lo porta a pubblicare, grazie al finanziamento del padre, la sua prima opera intitolata “Primo Vere”, una raccolta di poesie che ottiene fin da subito un discreto successo.

Per garantirsi un maggiore successo, D’Annunzio diffonde la falsa notizia della sua morte, così da attirare ancor di più l’attenzione della critica e del pubblico. Gli studi proseguono e lo scrittore si iscrive alla facoltà di Lettere a Roma (che non porterà a termine).

 

Roma, d’innanzi, si profondava in un silenzio quasi di morte, immobile, vacua, simile a una città addormentata da un potere fatale.

Il periodo romano, durato circa dieci anni, risulta essere molto proficuo grazie alle amicizie e alle relazioni culturali che instaura con scrittori, musicisti, giornalisti e artisti vari; qui affina la sua visione del mondo e la sua poetica. Nel frattempo, per far fronte alle spese economiche, intraprende l’attività di giornalista, utilizzando lo pseudonimo di “Duca Minimo”.

Il grande successo, però, arriva con la pubblicazione del suo romanzo “Il piacere”, un libro capace di affascinare il grande pubblico grazie alla figura dell’esteta decadente, tutto preso nel perseguire una vita di lusso e bellezza, figura che D’Annunzio stesso contribuì a costruire grazie alla sua vita da divo.

Saremo felici o saremo tristi, che importa? Saremo l’uno accanto all’altra. E questo deve essere, questo è l’essenziale.

Di particolare importanza fu la relazione epistolare che ebbe con l’attrice Eleonora Duse, con la quale visse un grande amore; gran parte delle opere del periodo sono ispirate sulla figura di questa donna; purtroppo la relazione termina per colpa del tradimento dello scrittore, fin troppo ben descritto nel romanzo “Il fuoco”.

La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua.

Dopo un periodo trascorso in Francia, ritorna in Italia e accetta la cattedra di Letteratura Italiana (dapprima tenuta da Pascoli); allo scoppio della guerra contro l’Austria, D’Annunzio, all’età di 52 anni, si arruola come volontario e parte per la guerra, occupandosi soprattutto dell’attività di propaganda. Viene accidentalmente ferito da un atterraggio di emergenza e a seguito dell’incidente perde un occhio. In questo periodo di convalescenza, costretto al buio, compone, grazie all’intermediazione della figlia, l’opera “Notturno”.

Nell’ultimo periodo della sua vita la salute cominciò a vacillare; D’Annunzio muore nel 1938 nella sua villa a causa di un’emorragia cerebrale, seduto al suo tavolo da lavoro. I funerali di stato, organizzati dal regime fascista, furono imponenti e videro la partecipazione di moltissime persone.

Rimani!

Riposati accanto a me.

Non andare.

Io ti veglierò.

Io ti proteggerò.

Ti pentirai di tutto fuorché d’essere venuta a me, liberamente, fieramente.

Ti amo.

Non ho nessun pensiero che non sia tuo; non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.

Lo sai.

Non vedo nella mia vita altra compagna, non vedo altra gioia.

Rimani.

Riposati.

Non temere di nulla.

Dormi stanotte sul mio cuore.

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