Anche se l’animo diviene saggio e sereno, il corpo si sfascia e si vergogna. Lucia Marghieri, nel saggio Tematiche edipiche nell’amore dell’anziano, dice: “Erikson ci ha proposto uno schema del ciclo vitale secondo il quale lo stato mentale dell’anziano è caratterizzato da una lotta per l’integrità contro un sentimento di disperazione e disgusto.

Erikson afferma che da questo conflitto può scaturire la saggezza. Essere saggi significa dunque aver accettato il proprio declino a favore della generazione successiva e avere per lo meno addomesticato i propri conflitti.”

Oh, la saggezza! Essa, come la morte, non è di moda. Inoltre il saggio può essere sofferente. La saggezza non ripara affatto il saggio dal dolore che egli insegna a riparare. Può infastidire il suo vicino, che preferisce il rimbambimento. L’età viene scandita, anno per anno, ora per ora.

[…]

La fantasia, tipica della vita, non può e non deve precisare la morte. Si rimedia ai mali delle merci con merci, e lodi delle merci, incise sulle merci stesse. Abbiamo spento tutti i lumi, dell’illuminismo, della sua autocritica e dell’antilluminismo. Il pensiero disturba l’agire. Il mercato è un puro istinto, una passione, un ideale, un amor sacro.

La velocità riduce i funerali, il lutto va combattuto con feste, le prefiche devono sbrigarsi. Regnano gli specialisti del vivere, che non sono i bons vivants. I depressi vogliono morire meno degli ottimisti. Tuttavia nel tempestoso lago dell’Occidente scocca il fulmine dell’escatologia, che riconduce al morire.

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