Isabel Allende nasce nel 1942 a Lima, in Perù. Dopo aver divorziato dal marito, Tomás Allende, la madre, Francisca Llona Barros, sola e con tre figli, senza alcuna esperienza lavorativa, si trasferisce a Santiago del Cile; Isabel ha solo 3 anni: la bambina non conoscerà mai suo padre. La famiglia viene ospitata nella casa del nonno (la stessa che viene descritta ne “La casa degli spiriti” come la casa di Esteban Trueba). Grazie all’aiuto dello zio Salvador Allende, futuro presidente del Cile, la loro nuova vita trascorre nel benessere economico.

Durante la sua infanzia impara a leggere grazie ai numerosi volumi presenti nella biblioteca del nonno, senza contare quelli che lei stessa racconta di aver trovato in un baule ereditato dal padre (proprio come quelli della piccola Clara ereditati dallo zio Marcos). Ascolta, inoltre, letture di romanzi rosa trasmessi alla radio e i racconti narrati dal nonno o dalla nonna, quest’ultima caratterizzata da una propensione particolare verso lo spiritismo, proprio come Clara.

Nel 1956 la madre si sposa con un altro diplomatico, dunque riprendono i viaggi: Bolivia, Europa e Libano sono le destinazioni che aprono nuove prospettive a Isabel, la quale comincia a scoprire nuove letture come Freud e Shakespeare e, infine, quello che sarà una delle sue maggiori influenze letterarie: “Le mille e una notte”. Compiuti 15 anni ritorna a Santiago e, due anni dopo, inizia a lavorare come segretaria presso un ufficio della FAO, il Dipartimento dell’informazione. A soli 19 anni sposa Miguel Frías, futuro padre dei suoi due figli: Nicholás e Paula.

In questo periodo comincia a lavorare sia nel campo del giornalismo sia in quello televisivo: conduce infatti un programma di quindici minuti sulla tragedia della fame nel mondo e inizia a collaborare con due riviste, quella femminile “Paula” e quella per bambini “Mampato”. La fama arriva grazie alla rubrica “Los impertinentes”, per la quale scrive sempre all’interno della rivista “Paula”.

Nel 1973 il colpo di stato militare del Generale Pinochet porta la scrittrice a partecipare in modo attivo alla vita politica del suo paese: inizia infatti a cercare asilo politico ai perseguitati dal regime, ma ben presto sceglie di allontanarsi dal paese, andando in Venezuela, dove rimarrà per 13 anni lavorando come giornalista per diversi quotidiani.

E’ in queste circostanze che nasce il suo primo romanzo, dapprima rifiutato da tutte le case editrici per il fatto di essere stato scritto da una sconosciuta, per di più donna, ma successivamente, nel 1982, pubblicato da Plaza y Janés. Il libro è “La casa degli spiriti“, che narra le vicende familiari durante il mutamento politico ed economico nell’America latina. Il successo è immediato: il romanzo viene subito tradotto in varie lingue e la scrittrice viene conosciuta in tutto il mondo.

“L’8 gennaio è un giorno come un altro nella mia vita, se non per il proposito incrollabile di buttarmi a capofitto in un nuovo libro. È un rituale che mantengo da quando sono fuggita in Venezuela dal Cile, la mia patria, per le minacce del regime di Pinochet, e un 8 gennaio ricevetti per telefono la notizia che mio zio in Cile era in punto di morte. Gli scrissi allora una lunga lettera, che non ricevette mai perché morì prima. Quella lettera fu in un certo senso l’incipit del mio primo romanzo, La casa degli spiriti. Da allora ho iniziato a scrivere tutti i miei libri l’8 gennaio.”

A 45 anni Isabel Allende divorzia dal marito e si sposa nuovamente con William Gordon, storia che ispira la creazione di un nuovo romanzo, “Il piano infinito”. Una tragedia però colpisce la vita della scrittrice: nel 1991 la figlia Paula, a ventotto anni, si ammala di una malattia rara e gravissima, la porfiria, che la trascina in un lungo coma. Isabel non si allontana mai da lei e, in questo periodo, inizia a scrivere un’autobiografia nella quale raccoglie i ricordi della loro vita trascorsa insieme, dando vita al libro-confessione “Paula”. Nel 1997, inoltre, Isabel raccoglie alcune lettere, espressione di affetto e vicinanza, ricevute da tutto il mondo, pubblicate nel libro “Per Paula”.

 

“Non esiste separazione definitiva fino a quando c’è il ricordo.”

Lei stessa racconta di questo profondo dolore che segnò la sua vita: “Fu mia madre a spiegarmi come sopravvivere. Questo dolore è come un tunnel nero, mi disse, devi camminarci dentro da sola, immaginando che dall’altra parte ci saranno luce e vita. Ho cominciato a camminare, che per me significava scrivere, ogni pagina era un passo. Il cuore mi scoppia, anche adesso, oltre vent’anni dopo, ma Paula esiste: nel libro, nelle lettere di chi lo ha letto, nella Fondazione che in sua memoria ho avviato per aiutare le donne. Lei è qui, tocca la vita delle persone.”

Tra gli ultimi suoi lavori troviamo una trilogia per ragazzi dedicata ai nipoti, composta da “La città delle bestie”, “Il regno del drago d’oro” e La foresta dei pigmei”. Numerosi sono i premi letterari ricevuti: nel 1998 il Premio Malaparte di Capri, nel 2007 riceve la laurea honoris causa in lingue e letterature moderne euroamericane, mentre nel 2010 ottiene il Premio Nazionale Cileno per la Letteratura.

L’ultimo suo romanzo, edito nel 2015, “L’amante giapponese”, narra di un amore che non passa, quello tra Alma, una bambina ebrea polacca, e Ichimei, il figlio di un giardiniere giapponese, nonostante il tempo passi inesorabilmente.

“A 73 anni inizio una vita nuova. Ho la mia indipendenza, un figlio e una nuora che abitano vicino a me. Considero la separazione e molto altro come parte della mia preparazione alla vecchiaia. Ricominciare, lasciarsi tutto alle spalle. Sto imparando a farlo. Vale anche per altre persone. I miei tre nipoti, ad esempio, che per tanti anni sono stati sempre con me. Quando erano piccoli stavo con loro tutti i giorni, poi sono andati al college, all’università, adesso hanno la loro vita.”

La critica si è espressa molte volte in termini positivi nei confronti della sua opera, spesso paragonata a quella di Gabriel García Márquez, nonostante i suoi ultimi libri siano stati giudicati banali e kitsch.

Il grande merito di Isabel Allende è stato quello di scrivere romanzi basati sulle sue esperienze di vita, alternando vicende personali private a narrazioni collettive, storiche e politiche.

 

“Continuerò a scrivere finché mi funzionerà il cervello. Perché mi rende felice. Ci sono tanti temi su cui voglio ancora scrivere, tipo l’esperienza di invecchiare.”

E’ infatti nella scrittura, secondo Isabelle Allende, che si cerca, e si trova, la redenzione.

Una sorta di purificazione dai danni che la vita ti ha inflitto o che tu puoi aver procurato ad altri, sono le storie a guarire.

 

Il potere della parola è l’ultima magia: in amore, nella vita.

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