Inizialmente, nei primi anni del dopoguerra, la compenetrazione fra intellettuali ed editoria era molto stretta, esisteva una certa interconnessione tra interessi economici, battaglia culturale e obiettivi politici; alla base di tutto ciò c’era la convinzione e il desiderio di generare un rinnovamento della società attraverso l’utilizzo delle armi culturali.

Uno degli ultimi sviluppi riguardanti l’editoria è stato quello dell’evoluzione del ruolo dei letterati, sostituiti in parte da un funzionariato di formazione manageriale: non ci sono più consulenti redazionali con scarse competenze di tipo economico-gestionale, bensì emergono figure in grado di valutare attentamente le possibilità e le prospettive del mercato.

Quanto più l’editoria assume connotati industriali, tanto più la valorizzazione del ruolo degli intellettuali tende a scontrarsi con le logiche del mercato; l’editoria è sempre più dominata dal potere economico e politico, e il mercato detta regole per cui gli intellettuali perdono il loro ruolo preminente.

Spesso i manager a cui ci si rivolge provengono da diversi settori, ma non da quello librario.

Il punto è che oggi la domanda del pubblico e la vastissima offerta si sono moltiplicate, complicando l’atto della mediazione editoriale e rendendo arduo tutto il processo sottostante la pubblicazione e la pubblicizzazione.

Per entrare in contatto col pubblico occorre conoscerlo, anticiparne le aspettative. Talvolta accade che gli editori procedano per tentativi, non sforzandosi di correlare domanda e offerta. Le esigenze dei lettori possono venire provocate e contraddette, ma mai ignorate. Il pubblico diventa il “nuovo padrone” che detta le tendenze, e un editore deve saperle comprendere e decidere se perseguirle o dettarne di nuove.

Il prezzo da pagare per questo continuo rincorrere le logiche di mercato è quello di un calo d’attenzione per la letteratura profonda e complessa, che contemporaneamente persegue un’altra direttrice rispetto agli interessi di sviluppo del mercato.

In realtà quello che appare minato non è tanto il futuro della letteratura, la quale tenta comunque di adattarsi alle sfide sempre nuove, come quella della comunicazione elettronica, rimanendo ancorata ai valori tradizionali senza però perdere di vista le prospettive dell’avanguardia. Gli autori non rifiutano più in modo categorico la logica editoriale che, a sua volta, persegue quella economica.

E’ invece l’editoria quella che esita a revisionare le sue modalità di approcciarsi a ciò che la circonda, ma non bisogna mai dimenticare che una casa editrice è un’azienda come tutte le altre e, come tutte le altre, per sopravvivere deve darsi degli obiettivi e, soprattutto, deve raggiungere certi profitti.

Il mercato, pertanto, non è qualcosa da considerare come totalmente negativo, non va demonizzato, ma deve essere analizzato nel più profondo, compreso in quelle che sono le sue logiche, accompagnato, se necessario, verso qualcosa di nuovo, ispirato o sfidato, stimolato al miglioramento qualitativo, ma non abbandonato a se stesso.

Il significato dei testi, e dunque la loro capacità di suscitare emozioni positive nei lettori, dipende dalle convenzioni e dalle tradizioni culturali delle diverse comunità. Ecco perché acquistano sempre più importanza le discipline, come ad esempio la sociologia dei testi, che studiano la forma dei libri, in che modo essi si diffondono, come vengono percepiti, accolti e assimilati.

Ed è esattamente questo il ruolo dei nuovi manager editoriali: i letterati, concentrati maggiormente su quelli che erano i loro obiettivi, estesi poi Top-Down al resto del pubblico, non trovano più spazio in quest’epoca in cui il pubblico non ascolta più passivamente ciò che gli viene proposto, ma attivamente ricerca e si appassiona, conformandosi ai suoi gusti personalissimi e indiscutibili.

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