Nell’ultimo capitolo degli Hunger Games, Katniss, la ghiandaia imitatrice, diventa il simbolo chiaro della rivolta che, ormai, dilaga in tutti i distretti, uniti contro la dittatura del serpentino e malvagio Presidente Snow.

 

“Se noi bruciamo, voi bruciate con noi.”

 

 

La nuova vita della ragazza si svolge nel Distretto 13, riorganizzatosi per ergersi contro Capitol City e guidato dalla Presidente Coin. Tra addestramenti e permessi per andare a caccia, il tormento più grande della ghiandaia è sempre lui, il ragazzo gentile che tanto l’amava, Peeta, rapito da Snow e torturato fino a diventare simile a uno degli ibridi usati da Capitol City.

 

Mi trascino fuori dai miei incubi ogni mattina e scopro che non c’è alcun sollievo nello svegliarsi.

 

Depistato mentalmente fino a credere che Katniss sia il male da cui scappare, anche dopo esser stato liberato, Peeta lotta con tutto se stesso per uscire dalla prigionia mentale in cui è stato costretto, aiutato da medici, amici e compagni di squadra.

 

“Stai ancora cercando di proteggermi. Vero o falso?”

“Vero. Perché è questo che facciamo, io e te. Ci proteggiamo a vicenda.”

 

Quando è ora di mettersi in azione, Katniss viene inserita nella squadra speciale insieme agli amici Gale e Finnick e ai nuovi alleati; intrappolati nei quartieri di Capitol City pieni di baccelli pronti ad esplodere scatenando infinite trappole mortali, Katniss sa di trovarsi nuovamente in una grande arena dove a vincere sarà solo il migliore. Ma questa volta, tra i concorrenti, non ci sono solo i tributi dei distretti, ma è presente lo stesso Snow, lui stesso impegnato a sopravvivere agli attacchi dei ribelli.

 

Siamo creature stupide e incostanti, con la memoria corta e un grandissimo talento per l’autodistruzione.

 

E se lentamente Capitol City scivola nel caos più totale, velocemente i ribelli si dimostrano capaci di guadagnarsi terreno e potere, fino ad arrivare al palazzo di Snow. Ed è proprio lì che Katniss, dopo aver perso la maggior parte della sua squadra a causa delle terribili e micidiali insidie dei baccelli, si ricongiunge per pochi secondi alla sorellina Prim, prima che tutto venga distrutto.

 

Guardo gli arbusti, le zolle di terra che pendono dalle loro radici, e trattengo il respiro… mi rendo conto del nome completo della pianta. Non semplicemente rosa, ma “prima rosa”, primrose, la “primula”. Lo stesso nome di mia sorella.

 

La guerra finisce tra vinti e vincitori, troppe vittime e poche speranze di dimenticare quei giorni terribili. Solo il tempo può lenire quelle ferite profonde, non solo del corpo. Solo il tempo può regalare la verità. Solo il tempo può riunire i due cuori che, troppo a lungo, rimasero separati.

 

“Tu mi ami. Vero o falso?”

“Vero.”

 

Che gli Hunger Games abbiano fine, finalmente, una volta per tutte.

 

Un giorno dovrò spiegare i miei incubi. Perché sono venuti. E perché non se ne andranno mai del tutto. Dirò loro come li supero. Dirò loro che, nelle mattine brutte, mi sembra impossibile trarre piacere da qualcosa perché tempo che possano portarmelo via. E che in quei momenti faccio mentalmente un elenco di ogni atto di bontà che ho visto fare. È come un gioco. Ripetitivo. Persino un po’ noioso, dopo più di vent’anni. Ma esistono giochi molto peggiori a cui giocare.

 

 

Quello di cui ho bisogno per sopravvivere non è il fuoco di Gale, acceso di odio e di rabbia. Ho abbastanza fuoco di mio. Quello di cui ho bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una vita che continua, per quanto gravi siano le perdite che abbiamo subito. Di una vita che può essere ancora bella. E solo Peeta è in grado di darmi questo.

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