Vitangelo Moscarda, un uomo comune e ordinario sotto tutti i punti di vista, entra in profonda crisi esistenziale quando la moglie, noncurante e inconsapevole, commenta il suo naso storto: da quel momento in poi l’identità di Vitangelo subisce una terribile frammentazione.

Che relazione c’è tra le mie idee e il mio naso? Per me, nessuna. Ma gli altri? Gli altri che non possono vedere dentro di me le mie idee e vedono da fuori il mio naso? Per gli altri le mie idee e il mio naso hanno tanta relazione.

Ognuno pensa di essere qualcuno, ma nella realtà l’immagine che gli altri hanno di lui è completamente diversa da quella da lui immaginata. E allora il pensiero sorge spontaneo e spaventoso: chi si è veramente? Tutti coloro che ci vedono e con cui parliamo conoscono una personalità diversa, dunque il nostro io viene scisso più e più volte, facendoci perdere inesorabilmente il senso. Centomila, dunque, sono le persone in noi, quelle che siamo nelle costruzioni altrui.

Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere. […] Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d’essere per me, chi ero io?

 

Ponendoci di fronte ad uno specchio, per cogliere subitaneamente ciò che gli altri vedono in noi, non riusciamo mai a figurarci così come appariamo all’esterno, poiché, giunti davanti alla nostra immagine riflessa, perdiamo all’istante quella spontaneità che ci rende tali agli occhi altrui. Chi ci circonda conosce l’estraneo che è i noi, quell’individuo a noi sconosciuto che noi non avremo mai il piacere di incontrare.

Io non voglio riconoscermi; io voglio conoscere lui fuori di me. È possibile? Il mio sforzo supremo deve consistere in questo: di non vedermi in me, ma d’essere veduto da me, con gli occhi miei stessi ma come se fossi un altro: quell’altro che tutti vedono e io no.

Ma talvolta capita che riusciamo a porci di fronte allo specchio e, estraniandoci da noi stessi e dalla nostra mente, per un secondo o due, ci troviamo lì a squadrarci un corpo vuoto, senza volontà, con gli occhi vitrei, e solo a quel punto ci possiamo chiedere: “chi sono io?”. Siamo noi, che ci osserviamo, ma potrebbe anche essere qualcun altro, un estraneo, o nessuno.

E la costruzione dura finché non si sgretoli il materiale dei nostri sentimenti e finché duri il cemento della nostra volontà. E perché credete che vi si raccomandi tanto la fermezza della volontà e la costanza dei sentimenti? Basta che quella vacilli un poco, e che questi si alterino d’un punto o cangino minimamente, e addio realtà nostra! Ci accorgiamo subito che non era altro che una nostra illusione.

 

Vitangelo Moscarda, alla ricerca del senso perduto, perde ogni cosa: moglie, lavoro, reputazione. Fino a quando l’unica soluzione adottabile è la reclusione in un ospizio, dove finalmente potrà sentirsi libero da questa vita prigioniera.

Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. La facoltà d’illuderci che la realtà d’oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall’altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d’oggi è destinata a scoprircisi illusione domani.

L’unico modo per vivere è quello di rinascere continuamente, creando ogni volta la propria reale identità.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata