Calabria. Un tempo indecifrato, ma molto vicino. Un fantasma di uomo, con occhi neri e profondi, affascinante e predicatore. Un fantoccio di uomo, grasso e vizioso, protetto dai più alti gradi di potere. Un’idea, probabilmente geniale o magari troppo idiota. Una donna, un cervello di legno, priva di opinioni personali, piena di programmi televisivi. Un libro, Le avventure di Pinocchio di Collodi, un burattino di legno dal naso lungo che non sa stare lontano dai guai. Un popolo, quello calabrese, che si rivede nelle parole dell’ex prete, capace di ammaliare le persone così come una calamita fa il suo dovere di attrarre ferro.

Un luogo del mondo è quel posto dove la dignità umana viene messa alla prova ogni giorno, ogni ora, ogni minuto: dall’astuzia e dalla crudeltà e dall’idiozia del prossimo e, in mancanza di meglio, dal puro e semplice scorrere del tempo che per tutti gli uomini, senza distinzione, è il più grande e irrimediabile degli affronti.

Questi gli ingredienti del romanzo noir di Emanuele Trevi. Una descrizione approfondita di una vita vissuta nel degrado, tra immoralità e nichilismo, apatia nei confronti dei sentimenti umani, nei confronti del prossimo, nei confronti dell’esistenza. Un disprezzo per tutto ciò che è spirito, un odio per tutto ciò che rappresenta la mente umana ed il progresso, un unico obiettivo, diffondere il Vangelo, ma non quello a cui siamo abituati, bensì un altro…

E tutto ciò di cui un uomo può fare a meno è la sua vera ricchezza.

Le avventure di Pinocchio diventano il Libro, la guida che può condurre l’uomo verso la consapevolezza, attraverso gli insegnamenti impartiti dal Grillo Parlante e dalla Fata, capovolti nella loro essenza perché tutta la verità risiede nel contrario di ciò che si proclama essere rivelazione assoluta. E il Topo l’ha capito, l’ha compreso fino in fondo questo, ed è pronto a condividere con il resto dei comuni mortali questa particolare lezione di vita.

Al livello più superficiale, la vita umana è così intollerabile da giustificare qualunque pessimismo. Scavando più a fondo, si arriva a un livello in cui la vita umana si limita a ronzare come un frigorifero, rumore indistinto fra gli altri rumori della notte, e ispira solo indifferenza. Ma a un livello ancora più profondo, più vicino al nucleo, la vita umana fa ridere. Un riso cretino, come quando Stanlio e Ollio combinano un guaio.

Mediante monologhi affascinanti e coinvolgenti, il Topo riesce a diffondere la sua verità: non siamo fatti per andare a scuola, una trappola disumana capace di far perdere il contatto con il nostro vero io; non siamo fatti per seguire le regole imposte da chissà chi, leggi idiote create ad hoc per idioti che vogliono farsi rinchiudere in una gabbia di menzogne; Lucignolo non rappresenta più il nostro nemico, ma l’unica vera fonte di libertà e verità che può diradare la nebbia delle nostre effimere esistenze.

Il successo è l’immagine più pura e nitida del destino umano. La sua natura: fuori controllo.

Il popolo calabrese ha bisogno di tutta questa verità per poter urlare con orgoglio il proprio ruolo nel mondo, per poter ostentare gioiosamente le proprie radici, per poter finalmente tornare a credere. Credere in “cosa” o a “cosa” non si sa. Un percorso anti-edificante, una polemica anti-progressista, una convinzione di non potersi più salvare da se stessi, una disillusione di tutti coloro che credono di poter cambiare le cose solo perché un giorno decidono che un altro tipo di vita non sarebbe male. Un unico obiettivo: rimanere di legno.

Non è mai possibile migliorare la nostra vita, renderla più buona, più efficiente. Uno può rimboccarsi le maniche, seppellirsi sotto tutti i sacrifici che lui stesso si è scelto per questa impresa di diventare un altro, rivestirsi di tutte le virtù che non ha mai praticato e di tutta la pietà che non riesce a provare […] ognuno ha diritto all’occasione di ricominciare la sua vera storia, che è la storia di quello che uno è, non la falsa storia delle sue intenzioni.

Il Topo vuole solo salvarci: non c’è spazio per la redenzione.

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