Tito Maccio Plauto è stato un commediografo romano vissuto tra il 255 e il 184 a.C., uno dei più prolifici autori teatrali dell’antichità latina, esponente del genere della palliata.

 

Quel che non si spera accade più spesso di quel che si spera.

 

Plauto nasce in Romagna, in particolare a Sàrsina, cittadino libero e non schiavo o liberto, tra il 255 e il 250 a.C.; ebbe esperienza diretta del teatro popolare latino-italico e del teatro ateniese (sia comico che tragico), ma anche del teatro siciliano e della parodia epica.

Nonostante vi siano stati dibattiti sulla quantità di opere legate al suo nome, l’intervento di Varrone fu fondamentale: nel De comoediis Plautinis definì il numero, sul quale tutti concordano, delle reali opere scritte da Plauto, ovvero 21 commedie.

 

Ogni uomo è un lupo nei confronti di un altro uomo.

 

Delle opere di incerta attribuzione, a noi sono giunti solo titoli e frammenti, mentre delle 21 abbiamo una ricostruzione completa avvenuta nel periodo umanistico. Per quanto riguarda la datazione della pubblicazione, non abbiamo molti dati, anche se in alcuni testi troviamo accadimenti storici che possono darci qualche coordinata più specifica.

 

Non so nulla, se non che non so nulla.

 

Le commedie di Plauto sono delle rielaborazioni in latino di commedie greche, nonostante l’autore non segua molto gli originali: da una parte adotta il procedimento della contaminatio, per il quale mescola insieme due o più opere greche, dall’altra aggiunge alle matrici elleniche contributi derivati da generi tipicamente romani, come il mimo e l’atellana. Plauto mantiene comunque alcuni elementi ellenici, come ad esempio luoghi e nomi dei personaggi. Pertanto, non si tratta di traduzioni o di un’aderenza totale alle opere greche.

 

Una mente paziente è il migliore rimedio contro le avversità.

 

Plauto inoltre apporta alcune modifiche rispetto alle opere a lui precedenti: ad esempio, trasforma le parti recitate in parti cantate, con continue alternanze tra le due tipologie; elimina la divisione in atti, e struttura il tutto in unità in sé concluse e autonome rispetto al resto: queste vengono contaminate con scene prese da altre commedie.

Le trame avevano generalmente uno schema fisso: di solito, troviamo il protagonista che vuole strappare una fanciulla o del denaro ad un antagonista e ci riesce grazie ad un inganno o ad un riconoscimento. Ciò che conta dei personaggi è la loro funzione nella narrazione.

 

Non con l’età, ma con l’ingegno si raggiunge la sapienza.

 

Un’altra caratteristica importante delle sue opere è la beffa: il personaggio si compiace del suo inganno; al centro della beffa vi è sempre un servo furbo. Plauto preferisce il comico dell’istante piuttosto che l’efficacia della commedia nel suo complesso: infatti, pur di suscitare l’ilarità del pubblico, rompe l’unità strutturale e vanifica la coerenza della commedia.

 

Gli dei hanno voluto che il dolore seguisse sempre come compagno il piacere.

 

Dal punto di vista delle messa in scena, si rinuncia alle maschere, quindi occorrono più attori. Nel linguaggio non vi è realismo: è una lingua d’arte, ricca di espressioni stilizzate, soprattutto nelle parti cantate dove abbiamo grande pathos e un linguaggio retorico, avvicinandoci quasi al modo di esprimersi della tragedia. Utilizza espressioni buffe e goliardiche o luoghi comuni della vita reale.

Una caratteristica dello stile di Plauto è l’accumulo di sostantivi e aggettivi che perdono il loro valore semantico, generando un nonsense; inoltre utilizza numerose metafore creando un realismo magico: la parola diventa immagine che si focalizza chiaramente nella mente di chi ascolta.

 

Dov’è amore è dolore.

 

La grande comicità generata dalle commedie di Plauto deriva quindi da una serie di fattori: oltre al lessico, l’elemento vincente è quello di trovare situazioni comiche tratte dal quotidiano, ma anche espedienti quali equivoci e scambi di persona, che producono un effetto comico sul pubblico.

Le opere di Plauto hanno ispirato molti drammaturghi, come ad esempio William Shakespeare, Molière, Lessing, ma anche autori più contemporanei, finendo addirittura sul grande schermo grazie a Richard Lester; lo stesso Pier Paolo Pasolini pubblica una traduzione del Miles gloriosus. Insomma, lavori che riportano la comicità plautina in auge fino ai giorni nostri.

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