Avrei iniziato l’articolo dicendo “il grande”, ma poi sarebbe sembrato troppo un personaggio dei libri di storia, quindi ho pensato a quale altro aggettivo utilizzare… con “illustre” mi sembra di parlare della lingua, più che dell’uomo.

“Il poeta” risulta abbastanza riduttivo, anche se con questo epiteto intendo dire che tutto ciò che scriveva era pura e semplice poesia.

Insomma, in qualunque modo lo si voglia descrivere, ritengo che sia uno dei più grandi scrittori che la cultura (italiana e in generale) possa vantare.

Non per altro nel 1934 ottiene il premio Nobel per la Letteratura.

Personalità eclettica, si dedica a poesia, romanzi, drammaturgia… lasciando a tutti noi un patrimonio ricchissimo di capolavori.

Di sangue siciliano, nasce nel 1867 da una famiglia borghese, di condizioni abbastanza agiate, trascorre un’infanzia serena, ma sin da giovane sperimenta l’amarezza delle “maschere” che si possono incontrare sul proprio percorso: si allontana infatti dalle pratiche religiose consuete per un gesto compiuto da un prete, il quale trucca un’estrazione per fargli vincere un’immagine sacra.

Precocissimo, appassionatosi di letteratura fin dai primi anni di scuola, scrive il primo romanzo, Barbaro, a soli 11 anni, dimostrando il talento che lo avrebbe caratterizzato per tutta la sua vita.

Una delle amicizie più importanti fu quella con Luigi Capuana, il quale lo iniziò ai salotti culturali fervidi di altrettante personalità effervescenti nel mondo di giornalismo, arte ed editoria.

 

Il suo primo grandissimo successo è rappresentato dal romanzo Il fu Mattia Pascal, opera che racconta del disagio di Mattia nella veste di se stesso e che, per una circostanza fortuita, ha la possibilità di ricrearsi una personalità tutta nuova, quella di Adriano Meis, finendo col ritrovarsi in una situazione pressappoco identica, un’ingarbugliata prigione di menzogne e ansie che soffoca il respiro e non ti permette di vivere appieno.

Un doppio inganno, un doppio fallimento, una doppia disillusione.

Non voglio tralasciare quella che probabilmente non è la sua opera più significativa, ma che rifulge come punto di riferimento nella sua produzione: Uno, nessuno e centomila, il romanzo dello smascheramento, l’opera della verità, della rivelazione, del disincanto.

La crisi dell’io, le infinite identità che compongono quel che siamo. Gli innumerevoli modi che le persone hanno di dipingerci, il modo con cui noi stessi siamo soliti osservarci, il niente che ci si rende conto essere se ci si ferma a riflettere per un attimo.

Lo straniamento, il guardarsi allo specchio e chiedersi confusamente “chi sono io?”, il rendersi conto di aver costruito un castello di false prospettive e significati privi di senso, per noi e per gli altri.

Come se chiunque avesse maschere sul volto, una diversa per ciascuna scena che deve affrontare sul palcoscenico della vita, una diversa a seconda della parte che si trova ad interpretare insieme ai compagni attori.

Maschere Nude é il titolo che egli stesso scelse per la raccolta dei suoi testi teatrali, proprio in riferimento a questo difficile rapporto tra l’essere e l’apparire, tra la verità e la messinscena, tra il vero “io” e l’attore che sale sul palco.

 

Tra questi uno dei capolavori è Sei personaggi in cerca d’autore.

Pirandello utilizza l’espediente del teatro nel teatro, mettendo in scena una vera compagnia teatrale colta durante le prove e interrotta da sei misteriose figure che scopriremo essere i sei personaggi i quali chiedono dolorosamente se il capocomico possa mettere in piedi lo spettacolo della loro vita.

I personaggi finiranno con l’essere più reali degli attori che li dovranno interpretare, mettendo in gioco sentimenti ed esperienze personali.

Dall’opera sono stati tratti diversi rifacimenti teatrali, uno dei quali è lo spettacolo del 1948 che vede tra i protagonisti Anna Falk nelle vesti della Figliastra e Tino Buazzelli ad interpretare il Padre.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ab823daf-9b0e-4d03-b5fb-98c6fead1c27.html

Personalmente ho trovato lei strepitosa, specie negli istanti in cui piomba il silenzio e risuona la sua risata inquietante, quasi isterica, nel buio della scena, una risata vuota, privata dell’umanità, che si contrappone alle ancora più rimbombanti lacrime che silenziose precipitano sulle guance della Madre, partecipe di un dolore irrimediabile.

Lui, il Padre, tutto proteso verso il racconto di quella che per lui rappresenta la verità, ma che non coincide con la realtà perché non esiste un’unica prospettiva, tutto è relativo, niente è ciò che sembra.

 

Numerose sono le novelle che accompagnano tutta la produzione del nostro autore.

Raccolte in volumi, tra i quali ricordo solo Novelle per un anno e Amori senza amore, ricche di tematiche e personaggi variegati, affrontano argomenti quali il dramma della vita quotidiana vissuto da uomini vili e inetti, i quali fanno sorgere una risata sardonica, che spinge quasi al pianto.

 

Grande successo dunque per lo scrittore, ma non dimentichiamoci che nelle sue opere si cela un misto tra angoscia e disillusione, una disperazione che disvela la sua essenza, un dolore che fece di Pirandello l’uomo che fu.

 

Quando tu riesci a non aver più un ideale, perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi, e l’occupazione, che sdegni – quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore – allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così.” (da una lettera alla sorella Lina, 13 ottobre 1886)

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