Ricorre oggi l’anniversario della morte di un grande artista, Pier Paolo Pasolini.

Venne infatti trovato morto il 02 novembre 1975, 40 anni fa, sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia.

Non solo poeta e scrittore, ma anche regista, sceneggiatore, giornalista e pittore. Una personalità versatile, di certo fuori dalle righe, suscitò molteplici polemiche sia per le sue idee anticonvenzionali sia per la violenza e la crudeltà trasposte nelle sue opere.

Un esemplificazione di tutto ciò è Salò o le 120 giornate di Sodoma, che torna al cinema in occasione di questo anniversario. Arrivato nelle sale 9 mesi dopo la sua morte (Gennaio 1976), si ispira al romanzo del marchese De Sade e narra di una serie di violenze fisiche e psicologiche che un gruppo di ragazzi è costretto a subire da parte di quattro rappresentanti del potere (un duca, un presidente della banca centrale, un presidente della Corte di Appello e un vescovo).

Pasolini stesso, per descrivere il concetto fondamentale espresso da questa pellicola, parla di “mercificazione dell’uomo”, così come scriveva Marx, meccanismo attraverso il quale il corpo viene ridotto ad una mera cosa da sfruttare.

Inutile dire l’interesse quasi morboso suscitato nel grande pubblico, che assiste ad uno spettacolo talvolta insopportabile a causa dei livelli di violenza che vengono raggiunti.

Molti sostengono che questo film, insieme al romanzo incompiuto Petrolio e agli articoli pubblicati sul Corriere della Sera, tutti volti a denunciare non solo il potere politico, ma anche quello giudiziario e religioso, gli costò la vita.

Ed aleggia una misteriosa atmosfera sulle circostanze della sua morte: l’accusato fu l’allora minorenne Pino Pelosi, ma alcuni eventi non sembrano essere stati del tutto chiariti.

Inspiegabile, ad esempio, come un ragazzo minuto come Pino avesse potuto esercitare una tale forza contro l’agile e allenato Pasolini.

Una delle teorie più diffuse è quella del complotto per cancellare un uomo di cultura scomodo e pericoloso per il potere, quali che fossero le forme assunte da questo (non dimentichiamoci che egli, fin dai suoi esordi, fu personaggio schietto, controcorrente, aspramente critico e omosessuale, cosa che gli costò l’ostracismo dei conformisti).

Sebbene queste ipotesi siano abbastanza suggestive, non mancano gli amici di Pasolini che affermano trattasi solo di nuvole di fumo, e che per individuare le cause che lo portarono alla morte non bisogna cercare molto lontano dalla sua natura controversa.
Tra le sue opere più importanti ritroviamo sia poesie che testi di narrativa: tra quest’ultimi, i romanzi Ragazzi di Vita, Una vita violenta e Amado mio.

Ragazzi di vita  narra di un gruppo di giovani appartenenti alle classi sociali più basse della Roma del Dopoguerra, i quali vivono alla giornata, cercando di sopravvivere come meglio riescono, alla ricerca di oggetti da rivendere; tra questi emerge il personaggio di Riccetto che, tra una disavventura e l’altra, da ragazzo generoso che rischia la vita per salvare una rondine in pericolo, diventa un uomo integrato con la società consumistica e borghese, fatta di individualismo ed egoismo.

Una vita violenta  racconta di Tommaso Puzzilli, giovane romano, il quale entra in contatto con una vita fatta di delinquenza e degrado. Nemmeno le possibilità di riscatto che gli vengono donate dal fato riescono a salvarlo (prima viene arrestato, successivamente si ammala di tubercolosi).

Ripresosi, riesce infine a ritornare sui binari di una vita morigerata, convertendosi al partito comunista e dedicando la sua vita al lavoro; un gesto di gratitudine gli costerà però la vita.

Dal libro viene tratto il film omonimo, diretto da Paolo Heusch e Brunello Rondi, uscito nelle sale cinematografiche nel 1962.

Amado mio è un libro postumo (1982) che raccoglie due racconti giovanili inediti, in parte autobiografici, che narrano delle difficoltà di Pasolini di affrontare la sua omosessualità.

Insomma, una vita controversa, piena di alti e bassi, conclusasi con quella violenza che fece da filo conduttore in tante sue opere.

Fu senza dubbio un’isola senza ponti, trascorrendo la sua esistenza, o gran parte di essa, nella sofferenza, una vita vissuta lottando sempre e comunque, perché in fin dei conti:

Un atleta ha un solo modo per realizzare pienamente la propria libertà: lottare liberamente per vincere.”

Soffrì e morì pur di difendere e rispettare ciò in cui credeva, fino alla fine.

Una fine così violenta che pare quasi di trovarsi in una delle sue opere.

Non era un film però.

Era la sua vita, fu la sua morte.

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