Oggi un titolo leggermente provocatorio… oppure no?

I tuoi tipografi hanno una strana mania di mettere virgole da per tutto” diceva un amareggiato D’Annunzio a Treves, aggiungendo “Desidero che non sia né tolta né aggiunta una virgola e che la mia ortografia sia rispettata religiosamente.”

Le virgole, che nel nostro caso ovviamente racchiudono tutto un mondo, vengono inserite seguendo lo stile del redattore, il quale si pone sempre come un vero e proprio ri-scrittore, coi suoi modelli, valori e idee di scrittura a cui tenta di ricondurre il testo su cui sta lavorando.

Per capire meglio dobbiamo innanzitutto comprendere cosa sia un redattore.

L’importanza del ruolo del redattore è cresciuta moltissimo nel corso dell’ultimo secolo: attualmente, infatti, il compito di questa figura non è più limitato, ma spazia moltissimo in tutti quei processi che portano all’opera definitivamente compiuta, pronta da pubblicare: la legge, ne cura l’impaginazione, fa editing, riorganizza il testo, corregge le bozze e, infine, la porta alla stampa, per farne un libro.

Il redattore costituisce il tramite fra autore e editore, e lo scopo del suo lavoro è quello di migliorare il testo, renderlo più leggibile e, se necessario, più vicino alla lingua d’uso.

Significative le parole di Bertoletti, secondo il quale “il redattore, coi suoi interventi, mira a far scaturire l’inimitabile singolarità di quel testo, per farlo diventare patrimonio di tutti, e perché resti nel tempo”.

Renderlo dunque maggiormente fruibile, da un pubblico il più vasto possibile.

Uno scopo ancora una volta commerciale dunque, non di certo che voglia remare contro l’opera (o per lo meno non consapevolmente).

Un processo teso a far raggiungere la massima originalità al testo, a migliorarlo.

Possiamo paragonare i redattori agli antichi copisti: quest’ultimi, anche quelli che fra loro risultano essere il più fedeli possibile al testo ricopiato, inevitabilmente fanno entrare in contatto il loro sistema linguistico con quello del manoscritto e, volenti o nolenti, questo si impone, più o meno, su quello dell’autore.

Il contrario sarebbe impossibile, è come se si tentasse di “annullare la propria storicità” (come dice Cesare Segre), come se si provasse ad eliminare ciò che siamo, la nostra presenza nel “qui ed ora”.

Che poi è praticamente impossibile che un lavoro arrivi in una redazione senza che siano necessarie modifiche e rimodellamenti vari (grafici, linguistici, strutturali, contenutistici).

Esistono due tipi di correzione: quella più lieve, che si dedica per lo più ai primi due aspetti, e quella più incisiva, che va a incidere profondamente sullo scritto.

E scegliere quale strada imboccare fra queste è a discrezione del redattore, il quale può essere scrupolosamente attento a non cambiare più di tanto ciò che sta leggendo, oppure può voler far prevalere la sua voce (credendo che sia molto meglio così per il libro), a volte a ragione, altre volte invece in modo meno convincente.

Senza contare che questa variabile di decisione dipende molto anche dall’autore e dal grado di autorità che egli esercita.

E se tra alcuni autori e redattori nascono odi e inimicizie, spesso sono proprio i primi a richiedere l’aiuto dei secondi, accettando senza remore le correzioni proposte (o discutendole, ma senza pregiudizi di sorta).

In ogni caso, qualunque sia il ruolo del redattore in questo processo, egli imprime la sua presenza sul testo (poco o molto percepibile, più o meno rispettosa della volontà dell’autore).

La volontà dell’autore e quella del redattore si intrecciano, creano tutta una serie di interventi che trasformano il testo in qualcosa di ben lontano dal prodotto iniziale.

Nel bene o nel male, a seconda dei casi.

E voi in quale tipologia di autore vi rispecchiate?

Accettereste modifiche rivoluzionarie pur di rendere il vostro libro più commerciale?

Oppure vi ribellereste, scegliendo la strada probabilmente più ardua, ma forse più aderente alla vostra persona?

 

 

 

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