STORIA DI UN TOPO DI BIBLIOTECA (LETTERALMENTE)

I libri, cibo per la mente.

I libri, il nostro porto sicuro, il nostro rifugio dalle sconfitte del mondo.

I libri, la nostra via di salvezza quando tutto si fa buio.

“Arido e freddo era il mondo, e le parole meravigliose.”

Sono esattamente queste le premesse con cui si apre il nostro romanzo.

Un racconto in prima persona, ricordi ininterrotti che si rincorrono per ricostruire un’autobiografia alquanto singolare.

Un’infanzia difficile, trascorsa tra le angherie dei fratelli più grandi e le vicissitudini di una madre alcolizzata, esseri con cui il nostro protagonista non ha nulla da spartire.

E poi un giorno la vita cambia, diventa migliore, acquista un senso.

Le pagine dei libri con le quali, sin da piccolo, aveva imparato a nutrirsi diventano un altro tipo di sostentamento: quello per la mente e per l’anima.

Non più una sola esistenza, quella triste e relegata conosciuta fino a quel momento, ma più vite, avventurosa o romantica, gotica o borghese, tra i classici protagonisti o immerso in argute discussioni nei salotti letterari più in voga, a sorseggiare caffè in atmosfere bohémien e surreali.

“E’ mai possibile che io abbia un destino? E con ciò intendevo quel genere di cose che succedono alle persone nelle storie, dove gli accadimenti di cui è fatta una vita, per quanto vorticosi e ribollenti possano essere, infine sono sempre manifestazione di un preciso disegno. Le vite, nelle storie, hanno sempre un significato e un fine.”

In Firmino possiamo ritrovare ciascuno di noi: chi non si è mai immaginato accanto ad uno dei suoi personaggi prediletti o a conversare con uno scrittore o con l’altro, per domandare loro i più intimi segreti e le più profonde verità insite nei libri e nei cuori dei protagonisti usciti dalle loro penne?

Luogo prediletto, casa di Firmino, è una piccola biblioteca dove, a far da padroni, sono gli alti scaffali da cui spuntano ordinati libri e volumi colorati, titoli immortali che fanno riflettere e sognare.

“Poiché, ovunque volgesse lo sguardo, c’erano libri. Dal pavimento al soffitto, su ogni parete come su entrambi i lati di un tramezzo che attraversava la stanza, c’erano scaffali di legno non verniciato stipati di file di libri fino a scoppiare, sulle quali erano ficcati di piatto altri libri, mentre altri si ergevano dal pavimento o erano ammonticchiati in pile precarie e cataste sbilenche. Questo luogo caldo e umido era un mausoleo di libri, un tesoro dimenticato, un cimitero di tutte le pagine non lette e illeggibili.”


Così come un lettore qualsiasi, anche Firmino riesce ad assaporare, prima indistintamente, poi gustando e apprezzando i diversi aromi, numerosi libri presenti in quel magico luogo: e pronunciarne anche solo i titoli, ci racconta, rappresenta per lui una gioia immensa che provoca addirittura lacrime di felicità.

“Notai, prima di tutto, che ogni libro aveva un sapore diverso: dolce, amaro, aspro, agrodolce, rancido, salato, agro. Notai anche che ciascun gusto portava con sé e suscitava nella mente un insieme di immagini e rappresentazioni di cose di cui non sapevo nulla a causa della mia limitata esperienza del mondo reale.”

 

In effetti il nostro protagonista può sembrare all’apparenza un lettore come tanti, ma la sua natura, non il suo intelletto però, gli impedisce di mischiarsi a noi uomini: Firmino, infatti, non è un uomo come tutti gli altri. A dire il vero, non è un uomo affatto.

Firmino è un piccolo topo, peloso e baffuto, che disprezza la sua immagine allo specchio tanto quanto potrebbe disprezzarla chi non si riconosce nel suo corpo.

Costretto dalla vita ad avere le sembianze di ratto, con la mente può e riesce a trasformarsi in chiunque egli desideri, vivendo la vita di quel personaggio o le avventure di quell’altro, cimentandosi in fughe mozzafiato o in balli scatenati con le donne della sua vita.

“Una finestra sul mondo degli uomini, la mia prima finestra. In questo senso, somigliava ad un libro: attraverso di essa, potevi indagare mondi che non erano i tuoi.”

 

Firmino si ciba di libri per non morire di fame, per non morire in un’unica vita noiosa e monotona. Una metafora di come i libri siano realmente l’unico modo per sopravvivere.

“Riuscii a conversare con tutti i grandi. Dostoevskij e Strindberg, per esempio. Subito riconobbi in loro dei compagni di strada afflitti, isterici come me. E da loro appresi un insegnamento prezioso: per quanto piccolo e insignificante tu possa essere, nulla vieta che la tua follia sia tra le più grandi.”

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