[Atto quarto – Scena quarta]

Come mi accusano tutte le occasioni

E spronano la mia lenta vendetta!

Che cos’è mai un uomo

se il principale impiego del suo tempo

consiste nel mangiare e nel dormire?

Niente altro che una bestia.

Colui che ci ha dotati di così grandi capacità di ragionamento,

di riflettere sul passato e sul futuro,

non ci diede questa capacità,

ed il divino dono della ragione,

perché ammuffisca senz’essere usata.

Ora, che sia letargo bestiale o vile scrupolo

a farci pensare troppo minuziosamente sulle cose

(un pensare che, se diviso in quattro,

è saggezza soltanto per un quarto

e bassa codardia per gli altri tre),

io mi chiedo perché passo la vita

a ripetermi: “Questa cosa va fatta”,

quando per farlo ho causa, volontà,

e forza e mezzi. Ed a spronarmi a tanto

ci sono esempi grandi come il mondo:

ne sia testimonianza questo esercito,

massiccio d’uomini e d’armamenti,

guidato da un gentile e giovane principe

che tutto ispirato da una sacra ambizione

disprezza le imprevedibili conseguenze del fato,

esponendo ciò ch’è mortale e incerto

a tutto quello che Fortuna e Morte

ardiscono arrischiar contro di lui.

E tutto questo per un guscio d’uovo!

La vera grandezza non consiste mai nel combattere

senza grandi motivi;

ma è pur grande trovare la causa di una lite

in un’inezia, se c’è in gioco l’onore.

Ed io qui, con un padre assassinato

e una madre macchiata d’infamia, che sto a fare?

A lasciar sprofondati nel letargo

questi impulsi del sangue e della mente

e, a mia vergogna, riguardar la morte

sulla testa di ventimila uomini

che per capriccio o ricerca di gloria,

vanno alla tomba come al loro letto,

per un pezzo di terra che non è abbastanza grande

da contenerli tutti,

e che non è una tomba abbastanza ampia

per ospitare e coprire quelli che verranno uccisi?

Ah, d’ora in avanti i miei pensieri siano di sangue,

o non valgano niente!

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