Umberto Saba è stato un poeta, scrittore e aforista italiano.

Il poeta è un bambino che si meraviglia delle cose che accadono a lui stesso, diventato adulto.

Umberto Saba, il cui vero nome era Umberto Poli (adotta Saba in onore delle origini ebraiche, Saba infatti significa “nonno”), nasce a Trieste nel 1883; i suoi primi anni di vita sono caratterizzati da un’esistenza abbastanza triste a causa dell’allontanamento del padre, il quale era insofferente ai legami familiari. Viene quindi cresciuto dalla balia Peppa.

 

Non esiste il caso; non esiste la famosa tegola sul capo. Esistono nessi − e autodecisioni − che noi non sappiamo.

 

A tre anni torna sotto le cure della madre e di due zie, impegnate nella gestione di una bottega di mobili e antiquariato. Frequenta il Ginnasio Dante Alighieri, ma, a causa dei non eccellenti risultati, abbandona ben presto l’Accademia di Commercio e Nautica e si imbarca su una nave come mozzo.

 

L’opera d’arte è sempre una confessione; e, come ogni confessione, vuole l’assoluzione.

 

Durante gli studi universitari, dapprima letteratura, poi archeologia, tedesco e latino, inizia a comporre i suoi primi versi, a collaborare con qualche giornale del posto (si ricorda l’articolo sulla sua esperienza di viaggio su “Il Lavoratore”) e a frequentare caffè e salotti letterari, come il Caffè Rossetti, dove poté entrare in contatto con intellettuali e letterati.

 

L’arte, per la sua intima natura profondamente asociale, serve – attraverso vie proprie – alla vita sociale.

 

L’esperienza di leva a Salerno gli permetterà di comporre i “Versi militari” e, terminata anche questa esperienza, torna a Trieste dove inizia a gestire una libreria di libri usati col fratello della futura moglie.

 

Di cosa soffre profondamente l’uomo? Di non poter né sfogare né sublimizzare i propri istinti.

 

La sua prima raccolta di poesie viene pubblicata nel 1911 con il titolo “Poesie”, seguita dalla raccolta “Coi miei occhi”; contemporaneamente scrive l’articolo “Quello che resta da fare ai poeti”, nel quale esprime la volontà di realizzare una poesia semplice e sincera, senza tanti “orpelli”.

Il periodo successivo vede la pubblicazione di un’opera teatrale, “Il letterato Vincenzo”, una collaborazione col quotidiano “Il Resto del Carlino” e la raccolta “La serena disperazione”, quest’ultima ispirata dal suo soggiorno milanese dopo una crisi causata dall’infedeltà della moglie.

 

Accade a chi voglia cercare la causa di un qualsiasi avvenimento, come a chi cammina in alta montagna; che, varcato un monte, un altro se ne presenta, e poi un altro e un altro ancora. Una foglia non cade per una causa sola, ma per un complesso di cause; delle quali alcune ci sono chiare; altre (stellari, cosmiche, più oltre) rimangono (e forse rimarranno sempre) fuori dalla nostra coscienza.

 

Gli anni della grande guerra lo vedono di nuovo protagonista delle vicende militari, questa volta come dattilografo in un ufficio militare e, successivamente, come collaudatore del legname per la costruzione degli aerei. Tornato a Trieste, rileva la libreria antiquaria Mayländer, che diventerà la Libreria antica e moderna.

Nel 1922 dà alle stampe il “Canzoniere”, una raccolta di tutta la sua produzione poetica. Mentre le sue opere venivano apprezzate sempre più da critica e lettori, le sue crisi nervose diventavano sempre più debilitanti. A causa delle leggi razziali, nel 1938 è costretto a cedere la libreria e ad allontanarsi in cerca di rifugio. Continua a scrivere versi, pubblicati nella raccolta “Ultime cose” nel 1945.

Terminata la guerra, si trasferisce a Milano; qui pubblica con Mondadori la sua prima raccolta di aforismi, “Scorciatoie”, collabora col Corriere della Sera e vince il Premio Viareggio per la poesia del dopoguerra, oltre che ricevere la laurea honoris causa dall’Università di Roma La Sapienza.

Nel 1955, scelse di farsi ricoverare in un istituto a Gorizia, dove muore nel 1957, mentre era ancora alle prese col romanzo autobiografico “Ernesto”, pubblicato postumo.

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