“Lei ha descritto anche troppo bene” rispose il Maestro “dove sta per lei la difficoltà. Sa perché non può attendere che il colpo parta e perché il fiato le viene a mancare prima che il colpo sia partito? Il tiro giusto nel momento giusto non viene perché lei non si stacca da se stesso. Lei non è teso verso il compimento, ma attende il proprio fallimento.

Finché le cose stanno così non le resta altra scelta che provocare lei stesso un accadimento che è indipendente da lei, e fintanto che lei lo provoca, la mano non si apre nella maniera giusta – come la mano di un bimbo; non scoppia come il guscio di un frutto maturo.”

Dovetti confessare al Maestro che questa spiegazione accresceva la mia confusione.

“Ma infine” feci osservare “tendo l’arco e tiro la freccia per colpire il bersaglio. Tendere è dunque un mezzo per uno scopo. Una relazione che non posso perdere di vista. Il bambino non la conosce ancora, ma io non posso più ignorarla.”

La vera arte” esclamò allora il Maestro “è senza scopo, senza intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l’una cosa, tanto più si allontanerà l’altra. Le è d’ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga.”

“Ma lei non ha spesso ripetuto che il tiro con l’arco non è un passatempo, un gioco senza scopo, ma una questione di vita e di morte?”

“E lo sostengo. Noi maestri d’arco diciamo: un colpo – una vita! Ciò che questo significa lei non lo può ancora capire, ma forse l’aiuterà un’altra immagine che traduce la stessa esperienza. Noi maestri d’arco diciamo: con l’estremità superiore dell’arco l’arciere fora il cielo, all’estremità inferiore è appesa la terra, fissata con un filo di seta.

Se il colpo parte con una forte scossa c’è il pericolo che il filo si spezzi. Per il volitivo e il violento la frattura diventa allora definitiva e l’uomo resta irrimediabilmente nello spazio intermedio tra il cielo e la terra.”

“Che debbo dunque fare?” chiesi pensieroso.

Imparare la giusta attesa.

“E come si impara?”

“Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione.”

“Devo dunque spogliarmi intenzionalmente di ogni intenzione” mi scappò detto.

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