La famiglia Kampf è una famiglia ebrea borghese arricchitasi grazie alla determinazione e alle azioni, talvolta senza scrupoli, del padre di Antoinette, ragazzina quattordicenne in bilico tra l’età in cui tutto è concesso e l’età in cui niente viene perdonato.

Antoinette viene vincolata a questo limbo dalla madre, un’altezzosa donna incapace di adeguare i suoi modi rustici alla raffinata e cortese vita borghese; ancorata attraverso le reminiscenze alla loro vita passata, continuamente rinfaccia alla vecchia immagine di sé le umili origini e alla figlia l’avvenire che le spetta.

Il passato va lavato via come una macchina, cancellato. L’educazione della figlia, il denaro investito nelle lezioni di pianoforte e nella governante inglese, sono uno degli strumenti dell’agognata ascesa sociale, un’arrampicata impervia.

Per rinnegare sempre più i ricordi brucianti, Rosine Kampf decide di organizzare un ballo grandioso a cui invitare tutta la gente che più conta, persone influenti e importanti, tasselli del panorama finanziario e sociale della città. Niente è troppo per la maestosa festa: champagne, orchestra, portate a non finire… tutto volto ad impressionare le menti più raffinate.

E Antoinette, ancora una volta, viene messa da parte, ancora una volta viene relegata nella sua camera da bambina inadatta alla vita relazionale che la madre agogna, ancora una volta viene sminuita nei suoi insignificanti quattordici anni che non bastano per essere come loro, ma sono troppi per non farsene un cruccio.

Qualcosa scatta nella sua mente, una piccola malvagia perversione viene attuata in un secondo impercepibile, ma che pare un secolo: Antoinette getta, in un attimo, discredito sulla sua famiglia, su quella madre anaffettiva e prepotente che oscura ogni aspetto della sua vita.

Capita di provare uno smarrimento simile a quello che si avverte quando ci si perde in un bosco o ci si spinge incautamente troppo al largo durante una mareggiata. Il paesaggio è familiare, eppure non ci sono più punti di riferimento. (Maria Nadotti)

Il racconto mostra con debilitante lucidità i meccanismi che, talvolta, possono soverchiare un rapporto delicato come quello tra madre e figlia, la scrittura come strumento di vendetta e smascheramento di quella figura materna ignobile che, senza trucchi, si mostra in tutta la sua infamante decadenza, d’età e morale.

Racine descrive gli uomini come sono, Corneille come dovrebbero essere… Némirovsky sceglie di stare dalla parte di Racine, ma lo fa con un accanimento che a tratti la acceca.

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