Quando le parole di inchiostro nero su pagine linde servono a pensare, a respirare, a vivere. Quando non c’è cibo per nutrirsi, ma solo frasi con cui condire le giornate, le notti insonni durante le quali gli incubi sono i soli amici di cui puoi aspettarti la visita. Quando le bombe esplodono fuori, sopra il tetto della tua casa, quando i tuoi amici si perdono via, quando il mondo è crudele e quello della fantasia ti aiuta a sopravvivere in quello reale. Quando la lettura è tutto ciò che hai, i libri sono i tuoi compagni fedeli e quando la censura decide di derubarli delle loro anime se solo sono in grado di pensare a qualcosa di insolito. In quel momento, dentro tutti noi, esiste una ladra di libri.

“Si domandò quando esattamente i libri e le parole avessero incominciato a significare non solamente qualcosa, ma tutto. Forse accadde quando vide per la prima volta la stanza con gli scaffali ricolmi di libri? […] Forse non ci sarebbe mai stata una risposta precisa a quella domanda.”

Liesel, la piccola bionda ladruncola, accolta da una modesta famiglia tedesca, conosce la crudeltà e le barbarie di un mondo che si dice essere civilizzato, ma che nasconde l’orrore di un odio senza eccezioni. Insieme ai genitori adottivi ospiterà un giovane ebreo dai capelli come piume e gli occhi vuoti e malinconici, con cui condivide incubi e parole. In un modo o nell’altro la Morte riuscirà a venire a trovare la piccola Liesel più volte nella sua vita da ragazzina dal “cuore stanco”.

Nelle fantasie di Max l’ebreo si racchiude tutta quanta la storia che vivono Liesel, i suoi genitori adottivi, i tedeschi e milioni di ebrei, una Germania nazista che diventa ring nel quale il giudeo viene steso al suolo da un intero pubblico, un’intera nazione, dopo un carismatico discorso hitleriano, caricato dall’allenatore Goebbels, in cui mette in guardia da una razza infida capace di diventare padrona di ogni cosa, di tutti loro.

Max, il popolo ebraico, una vita costretta a rendersi invisibile, un’ombra a malapena percepibile nell’atmosfera di fumo della Germania logorata da odio e paura, colpa e rabbia.

Erano ventidue mesi che non vedeva il mondo esterno. […] <C’erano le stelle. Mi hanno bruciato gli occhi>.”

Anche i movimenti più semplici assumono la valenza di un’intera vita, un respiro per poi affondare ancora nella profondità dell’acqua nera, occhi liquidi che bruciano nello splendore stellare di un’esistenza in bilico tra la vita e la morte.

A tratti commovente, spiazzante e profondamente toccante. La voce narrante, talvolta preponderante, è di un personaggio costantemente presente nelle vite di tutti noi, ma mai visibile. Dalle prime parole comprendiamo che a parlare è la morte, non nella sue veste nera, con una falce stretta nella mano scheletrica, immagine che dichiara lei stessa di non apprezzare più di tanto, ma sottoforma di un’entità sottomessa al volere di cose più grandi e più terribili che la costringono ad un lavoro straordinario che più volte la porterà in contatto con la ladra di libri.

“Per me il risultato furono più o meno cinquecento persone; […] Le portavo tra le dita come valigie, oppure me le gettavo sulle spalle; solo i bambini li reggevo fra le braccia. […] E c’ero io, che come sempre raccoglievo essere umani. Ero stanca, e l’anno non era ancora neppure a metà.”

Una lotta alla sopravvivenza che coinvolge chiunque, grandi e piccoli, tedeschi o ebrei, dissidenti o nazisti. Tutti. Un racconto da leggere tutto d’un fiato, per rimanere realmente senza respiro davanti a pagine cariche di tensione e disperazione.

“I tedeschi nel sotterraneo erano disperati, certo, ma quella stanza non era un locale docce di un campo. Non erano stati mandati lì a fare la doccia di gas. Per loro, c’era ancora una possibilità di vivere.”

Per rimanere inermi. Senza parole. Se non quelle della ladra di libri.

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