La tendenza di oggi è questa: ormai la tecnologia ha coinvolto e avvolto ogni aspetto della nostra vita, dai veloci tweet agli stati su Facebook, fino ad arrivare alle immagini che raccolgono tutti gli attimi della giornata su Instagram o ai video su Youtube. Insomma, tutto viene registrato e condiviso in tempo reale con i nostri amici, conoscenti o sconosciuti che hanno deciso di connettersi con noi.

E anche l’editoria viene risucchiata da questo nuovo modo di vivere la vita: ci ha provato uno scrittore come Joshua Cohen, il quale ha deciso di riscrivere “Il circolo Picwick” di Charles Dickens… in diretta. Tutti i lettori connessi, infatti, hanno avuto la possibilità di vedere il lavoro prender vita, riga dopo riga, tra un taglio e l’altro; inoltre, grazie ad una chat, chiunque ha potuto esprimere la propria opinione in merito al testo.

Mai, in nessuna epoca, è esistita una modalità simile a questa: Simenon, un secolo fa, provò a mettersi in mostra in una bella vetrina, accettando la sfida di scrivere un romanzo in 24 ore; in quell’occasione le persone potevano ammirare uno scrittore all’opera, ma non il vero e proprio “work in progress” dell’opera stessa.

Probabilmente qualsiasi lavoro viene apprezzato perché conosciuto in quei termini di compiutezza, ma questa nuova tendenza sembra aver acquisito ormai un certo successo: tutti i lettori diventano provetti scrittori, in grado di suggerire azioni e caratterizzazioni dei personaggi sempre meglio di quelli ideati da chi sta componendo l’opera.

Eppure i grandi testi che hanno fatto la storia della letteratura, la storia in generale, la nostra storia… quelli li abbiamo letti fatti e finiti, scritti senza l’aiuto “del pubblico”, senza i suggerimenti di tutti coloro che si professano esperti, inconsapevoli generatori di confusione, colpevoli di strappar via quella poesia che dovrebbe rendere grande ogni scrittura.

In fondo, scrivere non è altro che un modo per mettere su un foglio i propri pensieri, riflessioni, esperienze, emozioni, sentimenti… E rendere gli altri partecipi di questo processo potrebbe rendere sterile ogni nostro contributo. I lettori rimangono quindi lettori, in grado di piangere o ridere insieme all’autore, mantenendo intatto il gusto della scoperta e il piacere del viaggio.

Se si perde tutto questo, allora non credo che ne valga più la pena.

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