Quante volte vi è capitato di non volervi più separare dai personaggi che, prendendovi per mano, vi hanno accompagnato per pagine e pagine in mondi diversi e magici, che vi hanno fatto emozionare e che vi hanno regalato avventure uniche?

 

Non so voi, ma ogni volta che termino un libro particolarmente coinvolgente sento di perdere qualcosa.

E’ vero, moltissimo rimane ben impresso nella mia mente, e non parlo tanto dei nomi dei protagonisti e delle loro vicissitudini, quanto dei valori che ogni libro racchiude in sé e può essere più o meno in grado di trasmetterci.

 

Ogni volta che compiamo la scelta di leggere un libro, noi agiamo per soddisfare un bisogno.

E’ una compravendita di emozioni, tempo ed energie, uno scambio paritetico, un’offerta (quella editoriale) tesa a soddisfare il bisogno (quello del lettore).

Esattamente come quando andiamo a fare la spesa: lista dei prodotti in mano, ci aggiriamo tra le corsie del nostro supermercato di fiducia cercando ciò che più si avvicina agli oggetti che ci occorrono, talvolta osservando le offerte per scoprire qualcosa di vantaggioso.

 

Non c’è niente di strano quando diciamo che ogni singola lettura ci serve, risponde ad uno scopo, è utile.

Non esiste “lettura” senza un fine, qualunque esso sia.

La stessa lettura letteraria, quella cioè che saggia le qualità estetiche di un testo, ne ha uno: il godimento estetico.

 

E’ per questo che al termine, girata l’ultimissima pagina del nostro libro, ciascun io-leggente (altresì detto “lettore”) formula un giudizio.

 

Ed è quello che ci esemplifica lo stesso Fielding nell’introduzione al suo Tom Jones: non siamo più nel sistema letterario precedente, quello in cui i lettori venivano paragonati a degli ospiti invitati ad una cena che, volenti o nolenti, dovevano per forza adattarsi alle pietanze offerte dal padrone di casa, ringraziando al termine, che fosse piaciuto o meno; ormai il mondo è ben diverso, il mercato librario si è massificato, ciascuno è libero di scegliere (ecco l’importanza dell’io-leggente) tra un amplio ventaglio di opportunità, un po’ come un cliente che arriva al ristorante, chiede il menù e osserva accuratamente la lista, magari ponendo attenzione ai prezzi piuttosto che prestando orecchio ai consigli dello chef.

Ed è ancora più libero, dopo aver provato le specialità della casa, di criticare quello stesso cuoco di cui ha scelto i piatti: il degustatore (perché chi legge è un po’ come il degustatore di vini che annusa il profumo delle pagine e percepisce la corposità, o meno, del testo che legge) sta pagando (sta spendendo energie, tempo, ha usato persino del denaro), guai se non rimanesse soddisfatto!

La prossima volta, infatti, sceglierebbe senza dubbio di andare nella trattoria di fronte.

 

Ecco, uno scrittore, esattamente come il proprietario di quel ristorante, vorrebbe che il suo cliente tornasse a scegliere nuovamente quelle stesse pietanze apprezzate la prima volta, o magari addentrandosi in qualche opzione diversa, ma cucinata sempre dal medesimo chef.

 

Ogni io-leggente, terminato il libro, ha dunque questa duplice opzione: metterlo da parte o ripercorrerne il percorso.

Ma perché rileggere?

Quest’ultima decisione consente di affrontare la cosiddetta “lettura retorica” o analitica, contrapposta a quella che definiamo “lettura euristica”.

 

Partiamo da quest’ultima: la lettura euristica, o di scoperta, è la primissima lettura che noi compiamo del testo. Essa ci permette di scoprire qualcosa di nuovo, ci lascia assaporare il piacere della scoperta, dell’incognito; è una lettura coinvolgente, curiosa, nuova.

 

La seconda lettura, invece, è anch’essa coinvolgente, ma con un diverso impatto: essa ci rassicura perché stiamo rivivendo qualcosa di già noto, è rassicurante, reitera il piacere sperimentato in precedenza; ciò che conta maggiormente è che ci regala una consapevolezza maggiore: riusciamo infatti ad individuare tutto ciò che accomuna quel testo agli altri che abbiamo letto, ci rendiamo conto delle tecniche compositive sottostanti (ecco perché il teorico Stierle parla di “natura letteraria” quando rileggiamo), poniamo attenzione ai particolari più di quanto non abbiamo fatto durante la prima lettura (la quale invece tende a raccogliere l’insieme della percezione cavalcando l’onda incalzante che ci vuole trasportare verso la fine), ci interessiamo dei motivi che hanno condotto l’autore alla composizione dell’opera, contestualizziamo quest’ultima in un quadro più ampio.

 

Insomma, una seconda lettura dello stesso libro ci aiuta a metabolizzarlo meglio nei suoi aspetti, permettetemi il termine, più tecnici, oltre che ovviamente regalarci ancora e ancora le stesse emozioni positive che ci hanno convinto a rileggerlo.

 

Però non sempre è tutto così positivo: questa operazione di rilettura talvolta può rivelarsi un fallimento totale.

Essendo infatti un’azione irriducibile, mai definitiva, la seconda lettura può smentire il giudizio formulato precedentemente, questo proprio perché il valore d’uso di un oggetto letterario è inesauribile.

 

E voi avete qualche libro che rileggereste ogni volta come se fosse la prima?

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