Non è un romanzo per l’adolescenza; è solo che l’adolescenza è, grazie alla facilità dell’affetto, più coraggiosa spiritualmente, più disponibile a certe vertigini che l’adulto ha la tendenza a scansare e a non notare apposta, per un senso di autoconservazione del suo cosmo d’adulto. L’Idiota è uno di quei casi rari nei quali la portata artistica va ben al di là della qualità letteraria, e appunto in ciò esige quella comunicazione privilegiata che solamente l’affetto può favorire.

Un viaggio in treno, Pietroburgo che si avvicina, nebbia e umidità avvolgono il paesaggio, l’alba si sveglia appena appena, la terza classe è affollata, gli occhi assonnati, i volti pallidi, due uomini giovani si scrutano incuriositi. È qui che per la prima volta il principe Lev Nikolaevic Myskin e Parfen Rogozin intrecciano le loro strade.

Il principe Myskin, il giovane dal nobile animo stupito del mondo, ingenuo e spontaneo, con gli occhi sporgenti e meravigliati, capace di intrattenere con la sua abile parlantina tanto quanto di suscitare risa attorno a lui, amato e disprezzato per la sua semplicità e il suo modo curioso di relazionarsi col mondo, l’idiota, guarito dopo un lungo periodo di malattia lontano dal suo paese, torna in cerca di lontani parenti.

Accolto dalla numerosa famiglia degli Epancin, ben presto conosce la bellissima Nastas’ja Filippovna, colei che di scandali vive e sorride, e di lei si innamora, di un amore compassionevole, colpito da quel volto e colto da una pietà per quella creatura sperduta nel peccato, contendendosela con l’ambiguo amico Rogozin, uomo rude e aggressivo disposto a tutto pur di averla.

Il gioco degli intrighi coinvolge a tal punto il povero idiota da renderlo di nuovo vulnerabile alla sua malattia; gli amici, che col tempo hanno imparato a frequentarlo e apprezzarlo, rimangono al suo fianco, e le attenzioni della più giovane delle figlie Epancin diventano sempre più presenti; Aglaja riesce a conquistare il cuore del principe.

Lì nella clinica di Schneider c’era un ammalato, un uomo molto sventurato. Era di una sfortuna così atroce, che di rado può esisterne di uguale. Lo avevano ricoverato per curarlo della sua follia, ma secondo me non era pazzo, aveva soltanto terribilmente sofferto: in ciò consisteva tutta la sua malattia.

Ma ecco che, dopo essere scappata via con Rogozin, Nastas’ja torna a tormentare la vita dell’idiota, facendolo ripiombare nell’esistenza più tenebrosa e angosciante, portando contemporaneamente Rogozin alla follia, fino a concludere con un epilogo drammatico la triste vicenda.

L’idiota non è altro che un uomo buono, privo di quella cattiveria e malizia che accomuna il resto degli uomini, pieno di scrupoli e di dignità, afflitto dalle mancanze che il genere umano porta dentro di sé da tempi immemori. Il principe è il simbolo di perfezione morale, puro e genuino, altruista e sensibile, un idiota di fronte agli occhi degli altri.

Dostoevskij ha quella conoscenza della felicità, della saggezza e dell’armonia, che però non si trovano lungo facili sentieri, ma lampeggiano a tratti lungo la via che costeggia l’abisso, che non si colgono sorridendo, ma solo tra le lacrime ed esausti dal dolore.

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