Oggi parliamo di una personalità controversa, discussa, ambigua.

Uno scapigliato, uno scapestrato, uno spostato.

Più termini possono essere utilizzati per definire quest’ uomo, ma io ne voglio utilizzare semplicemente uno: infelice.

 

Quando ho letto la sua biografia è questo il primo pensiero che mi ha colpito.

Ma facciamo un passo indietro.

Durante questa epoca storica, i valori che avevano fondato il Risorgimento italiano sono ricordi lontani, nessun uomo che ha lottato per essi ci crede più ormai (gli stessi Scapigliati, impegnati nella guerra di Indipendenza, si scagliano ora contro soldati e disciplina militare).

L’Italia è in crisi: si è fatta l’unità, ma solo formalmente, i fatti sono diversi, ben lontani dall’idealismo garibaldino.

L’industria nostrana non sta al passo con quella straniera, il settore agricolo entra in crisi, le città cambiano, diventano fredde e ostili agli uomini, nasce il proletariato straziato dalla vita grigia delle fabbriche, il potere economico passa in mano ad un nuovo ceto sociale, quello borghese, uomini nuovi che si sono fatti da sé grazie al loro fiuto per gli affari.

Gli intellettuali, davanti a tutto ciò, si pongono delle domande di cui non conoscono le risposte, si sentono impotenti, nascono la frustrazione e la volontà di lottare contro la fuliggine nera che li soffoca, emergere dalla nebbia densa che abbraccia Milano tutta.

Gli scapigliati, per utilizzare le parole di colui il quale provò a dar loro una definizione, ovvero Cletto Arrighi, comprendevano “sradicati, irregolari, anticonformisti, di qualsiasi origine e provenienza, tutti coloro che i benpensanti condannano […] non una categoria sociale, ma una condizione esistenziale”.

Considerato caposcuola degli Scapigliati, chi fu veramente Emilio Praga?

 

Nasce a Gorla (dunque milanese) nel 1839 da una famiglia tutto sommato benestante: riesce dunque a portare avanti senza problemi gli studi e a viaggiare (toccati diversi stati, tra i quali Francia, Olanda e Svizzera).

Gli esordi lo vedono impegnato in qualità di pittore, espone addirittura a Brera.

Giovane artista, pubblica anche la sua prima raccolta di poesie, Tavolozza.

E’ a questo punto che inizia il periodo buio che si protrarrà fino alla fine dei giorni: muore il padre, la sua industria fallisce e la famiglia si vede precipitare nella disgrazia più totale.

Comincia a vivere in mezzo all’indigenza e alla miseria, passando da un vizio all’altro, droga e alcool i compagni più fedeli, una vita sregolata, senza limiti, scandita dagli eccessi.

Seguono altre opere: Penombre, Fiabe e leggende e il romanzo, incompiuto e terminato successivamente dall’amico Sacchetti, Memorie del presbiterio.

L’ultima raccolta, Trasparenze, uscirà solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1975, in totale solitudine, corroso dall’assenzio.

Sul piano letterario resta fondamentale grazie alla polemica che portò avanti nell’arco di questi anni contro tutto ciò che rappresentava società borghese e istituzioni, sottolineando la crisi del sentimentalismo romantico, allargando quelli che erano le tematiche tradizionali della letteratura.

Ritroviamo dunque nella sua poesia temi di morte e oscurità, cupi e morbosi; la consapevolezza della vanità della vita umana è una costante nei suoi versi, che narrano della fine, della decomposizione di un corpo in cui non è più rimasto alcun soffio vitale, di figure misteriose e inquietanti, di fanciulle morte prematuramente.

Anticonformista anche in stile e lessico, non si spaventa ad utilizzare parole poco eleganti, per non dire comuni e volgari; la trascuratezza, una sorta di inerzia compositiva, una certa non curanza, caratterizzano i suoi componimenti.

 

Nell’ultimo periodo della sua vita, miserevole e penoso, si vide sottratto anche il piccolo figlio Marco.

Un’esistenza dolorosa, una vita abietta, una fine in solitudine.

 

Praga fu uno scapigliato, un bohémien, un alcolizzato, ma prima di tutto fu un infelice, un uomo tormentato dalla vita, maledetto dal male oscuro che tanti ne colpì e portò con sé.

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